Machiavelli sosteneva che quando le cose vanno male l’uomo tende a sottomettersi all’arbitrio della sorte, buona o malvagia che sia. In realtà, questa determina solo la metà degli eventi, in virtù dell’esistenza della libertà umana. Dubitiamo che il nostro eroe, Thierry Henry, conoscesse queste riflessioni del pensatore fiorentino, altrimenti ci avrebbe pensato su prima di firmare, nel lontano gennaio 1999, per la peggiore Juventus della gestione Lippi. Eh, sì, perché la truppa dell’allenatore viareggino si era assestata stabilmente al nono posto in classifica, complice l’annata storta dei francesi Deschamps e Zidane, freschi campioni del mondo e ancora inebriati dalla magica notte di Saint Denis, alcuni acquisti deludenti, su tutti MIrkovic e Blanchard, un allenatore con le valigie in mano dopo stagioni trionfali e per finire il ginocchio di Del Piero aveva fatto crack in un crepuscolare pomeriggio novembrino. Insomma un cocktail micidiale che aveva messo all’angolo la Juventus come un pugile suonato che non vede l’ora che suoni il gong.Pagato la modica cifra di 30 miliardi (modica per il calciomercato ruggente degli anni 90), Henry si presento ai tifosi e alla stampa il 18 gennaio. Fra le consuete dichiarazioni di intenti (“un sogno essere qui”, “ una di quelle proposte che non si possono rifiutare” ecc. ecc), il francese pensò di schiarire le idee agli addetti ai lavori in merito alla sua posizione in campo: “Io poi giro lontano dalla porta, dall’ area, gioco piu’ defilato sulla sinistra, comunque il gol mi piace” Amen. Tuttavia il dibattito era lungi dall’esaurirsi. Insomma, questo francesino dall’elegante falcata è una seconda punta di movimento o un esterno di sinistro di centrocampo? Mah, al campo l’ardua sentenzaIl 24 gennaio debutta negli ultimi venti minuti di Juventus-Perugia con la sua squadra in vantaggio per 2-1. Non è proprio un battesimo di fuoco, ma ciononostante fa in tempo a divorarsi 4 nitide palle gol. Un oscuro presagio, ma nessuno sembra dargli corda, nemmeno l’inviato della gazzetta che lo assolve e si riserva di non affibbiargli il voto in pagellaNon va meglio due giorni dopo nel ritorno dei quarti di Coppa Italia contro il Bologna al Dall’Ara. Henry svaria fra centrocampo e attacco senza però incidere. Tuttavia il suo impegno viene riconosciuto da Cerruti che gli garantisce una sufficienza stiracchiata. Più drastico Forcolin che archivia così la sua prestazione: Henry ha confermato quel che si sapeva e che, cioe’ , e’ un esterno sinistro d’ attacco, non una punta e tanto meno un goleador. Neanche un tiro in porta e’ la prova piu’ bella (si fa per dire) che da lui ci si deve attendere: magari entusiasmanti volate sulla fascia, ma mai e poi mai caterve di gol.La domenica successiva capitan Lippi e il suo vascello bianconero naufragano nelle limpide acque del Mar di Sardegna. Il Cagliari vince grazie ad un gol di Berretta e certifica la crisi della Juventus. Henry rileva Conte ad inizio ripresa senza riuscire a dare alla sua squadra un valido contributo. Infatti non solo non si salva dalla mannaia dell’insufficienza, ma risulta essere anche il peggiore in campo con un 4,5 in pagella così motivato: “subentra in una posizione che non deve aver capito bene, commette troppi errori”.Il 7 febbraio il Parma passeggia sulle rovine bianconere imponendosi per 4 reti a 2 al Delle Alpi. Il match passa alla storia più che per i 20 minuti, peraltro incolori, giocati da Henry, per le dimissioni di Lippi. La triade si trova così costretta ad anticipare l’arrivo di Ancelotti, in precedenza previsto per l’estate. L’avvento di un nuovo corso sulla panchina bianconera potrebbe essere l’occasione giusta per far decollare il concorde francese che giace malinconicamente fermo a bordo pista. Ma la musica non cambia. Nelle tre giornate successive fioccano altrettante insufficienze. A Genova contro la Sampdoria viene addirittura sostituito da Amoruso che realizza il gol del pari. Ancora una volta Henry delude,ma Paolo Condò ,da indulgente aristotelico, non se la sente di bocciarlo definitivamente, preferendo piuttosto parlare di “potenzialità accennate”. Mediocre anche la sua prestazione, da subentrato, (5,5 in pagella) nella vittoria interna in inferiorità numerica contro l’Udinese di GuidolinAll’ improvviso un raggio di sole squarcia le tenebre. A Torino c’è di scena la Roma di Zeman. La partita finisce 1-1, ma Henry disputa la sua miglior partita da quando indossa la maglia bianconera. Sulla fascia sinistra fa il bello e il cattivo tempo contro il malcapitato Cafu, si butta nelle ampie praterie del far West lasciate da Zeman, sforna assist e macina chilometri. Alla fine viene premiato con un 7,5 in pagella.A questo punto ci si aspetta continuità, e invece Henry continua ad accendersi ad intermittenza come le luci sull’albero di Natale. Manca l’appuntamento con il salto di qualità con il Bologna, per poi vivere la sua giornata di grazia a Roma contro la capolista Lazio. Va a segno due volte. Nel primo caso si accentra da sinistra e lascia partire dalla trequarti un tiro senza troppe pretese. I guanti di Marchegiani, lustrati con il sapone di Marsiglia per l’occasione, tradiscono l’estremo difensore laziale. Palla in rete e Olimpico raggelato. La Juve raddoppia con Amoruso, Mancini riporta a galla la Lazio, ma nella ripresa Marchegiani, ancora lui, respinge sui piedi di Henry che incredulo, forse per questo il primo controllo è difettoso, quasi che camminasse sulle uova, ribadisce in rete. Il francese è in estasi. Il giorno dopo i titoloni sono tutti per lui. La “rosea”decanta le qualità della coppia Amoruso-Henry, gli unici in grado di tirar fuori la Juve dalle secche della metà classifica. Tandem Amoruso-Henry: un paio di anni al più tardi l’ardito accostamento farebbe accapponare la pelle…
Purtroppo, come spesso succede, al dolce sogno segue un brusco risveglio. E per Henry è tempo di tornare alla dura realtà. Ancora una volta tradisce nell’attimo di spiccare il volo. Non incide nella vittoria casalinga contro la Fiorentina ,evapora ,assieme alla truppa di Ancelotti, nel caldo tropicale dell’Arechi e non convince neanche nella sconfitta interna contro il lanciatissimo Milan di Zaccheroni. Nell’ ultima giornata di campionato, contro il Venezia di Novellino e Recoba, ormai salvo, Henry sforna 2 assist e un gol molto casuale,con un tiro deviato da un difensore lagunare. Emblematica l’ esultanza di Titì: mani in alto a voler chiedere scusa per il suo deludente rendimento. Ci sarebbe, in realtà, ancora lo spareggio per l’accesso diretto alla Coppa Uefa contro l’Udinese. Insomma la stagione si può ancora salvare, ma la banda di mister Guidolin indossa i panni di Charles Bronson e giustizia la Juventus condannandola all’Intertoto. Degno epilogo di una stagione disastrosa.Henry chiude la sua annata con 16 presenze e uno score misero di 3 reti. Media voto in pagella: 5, 80. Una media mediocre per un giocatore normale, ma francamente imbarazzante per chi era stato acclamato dalla critica come uno dei migliori talenti di tutta la Gallia. Lucianone Moggi non avrà creduto ai suoi occhi, quando Wenger gli avrà sventolòato davanti un assegno da 27 miliardi( o giù di lì) per il francese. E così ,senza troppi rimpianti, Lucianone si liberò di Henry che aveva cominciato ad assumere l’ingombrante fisionomia di un bidone. Giunto nel posto sbagliato al momento sbagliato, vittima di un equivoco tattico (seconda punta o esterno di centrocampo?), di un mal di schiena non curato bene, Henry lasciò il Bel paese per accasarsi a Londra, sponda Gunners. Wenger gli confezionò su misura il ruolo di punta centrale. Da quel momento in poi Henry divenne il terrore delle difese, realizzando 174 gol in 254 partite che lo consacrarono come uno dei più forti Top Player di levatura mondiale .Non male per uno dal quale, come aveva vaticinato Paolo Forcolin della Gazzetta, ci si poteva attendere “magari entusiasmanti volate sulla fascia, ma mai e poi mai caterve di gol”.
Henry esulta dopo il primo gol contro la Lazio