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Rubrica dedicata a quei campioni che scottati dal sole del Bel paese!

Eric Tinkler: il raffinato erede di Bisoli

Ci sono paragoni che te li porti dietro per tutta la vita. Non si scrostano via, proprio come la sabbia più ostinata. Per esempio quello all’ultimo banco a scuola sarà sempre il ciccione casinaro. Anche se nella vita diventerà una persona seriosa e perderà 40 kg. Più o meno la stessa cosa è accaduta a Erik Tinkler. Ancora oggi i tifosi del Cagliari lo ricordano come il “Bisoli raffinato” e non come il primo sudafricano a vestire la maglia rossoblu. Ma che significa Bisoli raffinato? Significa che il capitano della nazionale sudafricana era, sì, uno che menava come un fabbro, ma  era anche un gran tiratore da fuori e specialista sui calci piazzati. O almeno così sperava Gregorio Perez, il suo tecnico durante l’avventura in rossoblu.

Tinkler sbarcò in Sardegna nell’estate del ’96, insieme a Fish e Masinga. Ma mentre questi ultimi erano parvenu nel calcio europeo, il mediano del Cagliari vantava invece diverse stagioni in Portogallo, al Vitoria Setubal. Non proprio una big, ma comunque più nota degli Orlando Pirates di Fish.

Perez gli affida le chiavi del centrocampo e lo schiera sempre titolare nelle prime giornate di campionato. Sarà un caso, ma il Cagliari dopo 6 partite ha raccolto appena 4 punti, frutto di una vittoria, un pareggio e quattro sconfitte. Tanto basta a Cellino per dare il benservito al tecnico uruguaiano e ingaggiare l’italianissimo Carlo Mazzone.

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Eric Tinkler e uno sguardo da duro alla "Pierpa Bisoli"

Il ‘sor Carletto” intuisce subito che la situazione è disperata e che per evitare il tracollo sia necessaria una rivoluzione. Mazzone mette quindi al bando, anzi in panchina, la campagna acquisti esotica di Cellino per puntare tutto sugli indigeni. L’epurazione colpisce anche Tinkler. Da lì in poi, il sudafricano vede il campo solo per pochi spezzoni di gara. Inutile aggiungere che il rapporto con l’allenatore si è guastato. Anzi, non è mai nato. Ma la guerra fredda, nonostante il clima mite della Sardegna, si trasforma in scontro aperto dopo qualche mese. Il Cagliari boccheggia in fondo alla classifica. E’ il momento di stare tutti uniti per difendere con le unghie una Serie A che sta sfuggendo di mano. Invece Tinkler chiede il permesso di andare a Lisbona per giocare un’amichevole di lusso tra star dell’Europa e dell’Africa. Mazzone, o chi per lui, gli nega il permesso. E lui per tutta risposta abbandona l’allenamento infuriato. Insomma, non proprio l’atteggiamento giusto per riconquistare un posto nell’11 titolare.

Tuttavia, Mazzone ha ancora bisogno del sudafricano: spareggio- salvezza tra Cagliari e Piacenza. Si gioca a Napoli. Manca un quarto d’ora alla fine e il Cagliari è sotto 1-2. Mazzone si guarda in panchina e vede il sudafricano. Ma sì, pensa il tecnico romano, buttiamo nella mischia anche lui, vuoi vedere che pesca dal cilindro il gol della speranza. Niente da fare, alla fine il Piacenza nell’ extratime segna il 3-1 con “toro scatenato Luiso. Il Cagliari è in B. Dopo il crollo c’è sempre la ricostruzione. Ma del progetto non fa più parte Tinkler, venduto al Barnsley, neopromossa in Premier Leauge. Ci resta 5 anni, prima di ritornare in patria. Dopo il ritiro è diventato assistente dell’allenatore Roger de Sà al Wits, doveva aveva iniziato a giocare da ragazzino. Ma dal Sudafrica assicurano: se un domani Eric subentrasse a de Sà, l’eredità sarebbe decisamente meno pesante di quella di Bisoli.

Mariano Messinese

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Mark Fish: lo psicologo assonnato

Mi ispiro a Baresi. Somiglio a Desailly


La moda delle Vuvuzela è stata un tormento. Soprattutto per le nostre povere orecchie al mondiale sudafricano del 2010. Eppure non è stata l’unica cosa che l’Italia ha importato dal paese più a Sud del continente Nero. Qualche anno prima, nell’estate del 96, alcuni dirigenti delle società italiane puntarono i riflettori sui Bafana Bafana ( i nostri ragazzi), cioè sulla nazionale di calcio del Sudafrica, fresca vincitrice della Coppa continentale. Sia chiaro, non  fu un successo epico come quello degli Spingbok al mondiale di Rugby nel ’95. Tanto che sull’impresa calcistica non è mai stato prodotto un film come Invictus. Eppure i nostri talent-scout intravidero del talento fra i ragazzi che formavano quella squadra, nata sulle ceneri dell’apartheid e della lunga esclusione dalle competizioni, imposta dalla Fifa negli anni 60. Tre giocatori su tutti colpirono gli osservatori: Phil Masinga, Marc Fish e Eric Tinkler. Il primo finì in B alla Salernitana, gli altri due alla Lazio e al Cagliari.

Mark Fish era il capitano della nazionale. Ed era un difensore centrale promettente. Ma si ritrovò a giocare nella Lazio di Zeman, non proprio l’ideale per chi ricopriva quel ruolo. Senza dimenticare i problemi di ambientamento per un ragazzone sudafricano di 22 anni. Addirittura una volta non si presentò all’allenamento. Stava dormendo beato a casa.  Ma il jet-lag non c’entrava niente. Semplicemente Fish si era dimenticato di regolare la sveglia. Se la cavò con una multa. Dopo tutto era un sonnellino innocente. Il problema è che si addormentava anche in campo e nell’uno contro uno veniva sistematicamente bruciato dagli attaccanti avversari. Troppo alto(1,92) e troppo lento per il nostro calcio. Questa era la sentenza dopo due mesi in Italia.

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Mark Fish: in una rara fotografia con gli occhi aperti

A novembre poteva andare anche già via, ma strinse i denti e scelse di continuare la sua avventura in biancoceleste. I sacrifici furono ripagati con un gol in un deludente 1-1 contro il Verona. Si illuse allora di aver finalmente compreso Zeman e il suo calcio tutto impeto, assalto e difesa alta come l’Everest. Già, così credeva, magari anche perchè confidava sui suoi studi in psicologia. Ma la psicologia è interpretazione, non previsione. Infatti il gigante sudafricano non poteva sapere che il Boemo sarebbe stato cacciato di lì a poco per fare posto a Zoff. E con il “Friulano Vertical” le cose volgeranno al peggio. Dopo una sconfitta con due gol al passivo, fu accantonato e relegato in panchina.

Il capitano dei Bafana Bafana concluse la sua stagione con 15 presenze e 1 gol. Non bastarono per la riconferma. E non erano certo cifre interessanti per chi diceva di ispirarsi a Baresi e somigliare a Desailly. Qualche mese dopo finì al Bologna. Ma ci restò poco. In pratica appena 15 giorni. Giusto il tempo per conoscere il suo allenatore Renzo Ulivieri che lo bocciò con queste parole.“Non è rapido nei movimenti e quando viene attaccato può trovarsi in difficoltà”. Colpito e affondato. E rispedito al mittente.

La Lazio trovò il modo di piazzarlo in Inghilterra: 3 anni al Bolton, 5 al Charlton, 1 al Ipswich Town, Poi il ritorno in patria dove intraprese anche la carriera da allenatore. Ma nessuno è profeta in patria. E  dopo 4 mesi alla guida dei Thada Royal Zulu fu esonerato. Magari il presidente voleva dare una svegliata alla squadra. E forse Mark si era dimenticato di regolare la sveglia.

Mariano Messinese

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Francois Omam-Biyik: un leone addomesticato in panchina

Quando sei sulla cima puoi solo scendere. Così recita l’antico adagio. E come spesso accade, la saggezza popolare ci azzecca. Lo sa benissimo Francois Omam Biyik. Il camerunese raggiunse il punto più alto della sua carriera nella partita inaugurale di Italia ’90. Minuto sessantasette della sfida. Il pallone spiove nell’area di rigore argentina. Omam Biyik sale in cielo a colpire la sfera. Resta sospeso lassù per attimi interminabili, quasi a contemplare gli dei. Ma quel giorno gli dei del calcio sono scesi sulla terra  e sembrano comuni mortali, nonostante la maglia albiceleste.

Insomma, i campioni del mondo sono irriconoscibili, mentre qualche buontempone ha cosparso di olio i guanti di Pumpido, perchè il pallone scivola dalle mani del portiere argentino e termina docilmente in rete. Clamoroso. Camerun in vantaggio nonostante l’inferiorità numerica. Ecco, questo fu lo zenit dell’ex attaccante di Rennes e O.Marsiglia. Quello che viene dopo è solo una lenta e inesorabile parabola discendente, con un fugace apparizione alla Sampdoria nel gennaio ’98.

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Omam Biyik raggiunge il punto più alto della sua carriera

A metà campionato la Samp vivacchia a centro- classifica. E’ vero, è il primo anno dell’era post Mancini, e Morales non è all’altezza, ma  Il potenziale per migliorare la posizione ci sarebbe. In pratica i blucerchiati sembrano scolaretti intelligenti, ma svogliati, nonostante il pugno di ferro del maestro Boskov. E’ in questo clima di rilassatezza che arriva l’ormai quasi 32enne Omam Biyik.

La conferenza stampa di presentazione è già tutto un programma: ” A novembre sembrava che il mio sogno di giocare da voi si fosse realizzato. Ma poi il Lecce mi mando’ via, e nemmeno mi spiego’ perche”. I tifosi doriani lo capiranno dopo. Intanto Boskov chiarisce:” Non lo conosco, aspetto di vederlo all’opera per giudicare. Certo, per il campionato italiano occorre essere davvero al massimo per fare bene”.

Per carità, il camerunese ce la mette tutto: l’impegno c’è. Ma i gol non si vedono. Anche se sulla Gazzetta insistono”  La Samp si e’ aggiudicata sino al termine della stagione un bomber maturo, ma di sicura esperienza”. Invece la sua avventura si concluderà con 0 reti e sei presenze, cioè una al mese. La stessa media di un dipendente pubblico lavativo.

Mariano Messinese

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Sotiris Ninis: il Messi greco che piaceva al Milan

Tutti pazzi per Sotiris. Sì, detta così sembrerebbe la parodia del ben più celebre film : tutti pazzi per Mary. In realtà c’è stato un momento storico in cui Sotiris Ninis è stato appetito dai più grandi club europei: Roma, Milan, Inter e Real Madrid. In pole position però c’era il Manchester. Ma Sir Alex Ferguson ingranò la marcia sbagliata alla partenza e il centrocampista greco finì a Parma. Come a Parma? Sì, le vie del calciomercato sono infinite e spesso transitano per l’Emilia.

C’è un piccolo retroscena che spiega tutto. Anche l’imponderabile. In pratica Ninis nel settembre del 2011 si rompe il legamento del crociato destro. Diagnosi impietosa: 6 mesi di stop. Senza dimenticare un altro aspetto fondamentale: a giugno 2012 il suo contratto con il Panathinaikos va in scadenza. Quindi a marzo Ghirardi annuncia l’ingaggio di Ninis. Concorrenza ( o quel che restava) bruciata. Ma il presidente gialloblu resterà comunque scottato dalla storia

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Ninis e il calcio italiano: è questione di testa

In pratica il Messi ellenico (chissà poi chi assegna questi soprannomi) non riuscì mai ad ambientarsi nel calcio italiano. Scese in campo appena 13 volte. Per lo più da subentrato e senza lasciar nemmeno intravedere le sue (poche) qualità. A giugno 2013 Sotiris Ninis fece i bagagli e si accasò al Paok Salonicco con la formula del prestito secco. Dopo una stagione in Grecia è ritornato a Parma. Ma solo per pochi giorni: meno di un mese fa ha rescisso il contratto. Con buona pace di tutti. Sopratutto dei tifosi crociati.

Mariano Messinese

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Ezequiel” Equi” Gonzalez:”lo scolaretto e il maestro”

Aveva una città ai suoi piedi. E l’abbandonò per venire a Firenze. In momento storico difficile con la società sull’orlo del fallimento. Ma questo Ezequiel “Equi” Gonzalez non poteva saperlo. Era stato già acquistato l’anno prima, quando la crisi sembrava ancora lontana. E invece in poco tempo gli eventi precipitarono e travolsero anche Equi, il figlio prediletto di Rosario, città argentina a300 chilometri da Buenos Aires.

Ezequiel Gonzalez si aggregò alla squadra, mentre l’idolo di Firenze, Rui Costa, faceva i bagagli e si trasferiva al Milan. E così i tifosi gigliati si aggrapparono a questo trequartista argentino giovane e imberbe, nella speranza che emulasse le gesta del portoghese. Ma se Rui Costa era il maestro, Equi al massimo poteva essere uno scolaretto con un pizzico di talento nello zaino. L’eredità è pesante, ma l’alunno non si tira indietro, anzi annuncia: “Se serve gioco anche con una gamba”. Il problema è convincere l’allenatore, cioè Roberto Mancini che non lo schiera mai anche quando ha due gambe funzionanti. Tranne in caso di emergenza. E per questo motivo, Gonzalez gioca solo una volta: in coppa Uefa nella morsa del gelo di Dniptrovsk. Poi più nulla.

L’argentino viene quindi emarginato. Sempre in panchina o in tribuna. Si rintana fra le confortevoli mura delle sua villa in via Bologna, dove passa il tempo a guardare la tv. A gennaio rischia di partire. Il Celta Vigo lo corteggia, ma all’improvviso arriva la svolta. Mancini si dimette dopo la sconfitta interna con il Perugia e al suo posto arriva Bianchi. Equi viene immediatamente depennato dalla lista dei partenti. Contro il Milan non parte titolare, ma la Fiorentina va sotto e Bianchi decide di gettarlo nella mischia. I Viola pareggiano con un gol di Adriano in chiusura di match. Anche grazie al contributo di Gonzalez che porta una ventata di freschezza alla manovra viola. Nelle successive partite,l’argentino gioca da subentrante. Diventa l’asso nella manica, corta, di Bianchi per sparigliare le carte. Il trequartista ce la mette tutta, mostra le sue qualità, salta spesso l’uomo, vede la porta, ma segna poco. E soprattutto predica nel deserto: perchè il resto della squadra sembra aver già ammainato la bandiera. Nonostante il suo impegno, la Fiorentina scivola quindi sempre più giù sul fondo della classifica. Tuttavia l’argentino si toglie lo soddisfazione di segnare un gol al suo debutto da titolare. Ma è solo una rete che illude. La Fiorentina viene raggiunta dal Bologna e vede sempre più lontana la salvezza. Anche perchè nelle ultime 7 giornate arrivano altrettante sconfitte. Insomma, ad aprile la Fiorentina è già in B. Ma il peggio deve ancora venire. La società fallisce e riparte dalla c2, Equi dall’Argentina

Gioca prima nel Boca Juniors, poi torna al Rosario che lo aveva fatto diventare grande, prima di intraprendere l’avventura in Grecia. Al Panathinaikos Equi diventa l’idolo della tifoseria locale. Le sue giocate entusiasmano una platea poco avvezza ad ammirare tanta tecnica. Su youtube potete ancora imbattervi su alcuni video dei tifosi dei “Verdi di Grecia” dedicati all’estroso fantasista di Rosario Ad Atene fu amato. A Firenze non fu capito. Anche se resta sempre quel dubbio: se solo fosse arrivato in un altro momento…

Mariano Messinese
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Pablo Garcia: le occasioni (perse) del Sergente

La burocrazia aveva fatto di tutto per salvare il Milan. Ma invano. Perchè la società si intestardì. Risolse il problema legato allo stato di extracomunitario dell’uruguaiano Pablo Garcia e lo mise alle dipendenze di Zaccheroni. Dopo 4 mesi di tribuna. Sì perchè il Milan lo aveva acquistato  dall’Atletico Madrid a metà settembre del 2000  pagandolo anche un bel po’. Più o meno 10 miliardi di lire. Ben presto a Milanello si accorsero, però, che la lentezza burocratica era lo specchio del nuovo acquisto. In pratica un centrocampista con la moviola incorporata nelle gambe. Nonostante Jose Mari, ex Atletico, garantisse sulle doti dinamiche del suo ex/nuovo compagno di squadra. E non solo. Anche Passarella rassicurò Zaccheroni:” Pablo ha tutto per fare bene in Italia”

Dopo una lunga attesa,  con il nuovo anno arriva finalmente il debutto in campionato. Zaccheroni lo manda in campo contro la Fiorentina. Pablo Garcia avvisa alla vigilia del match: ”Ai tifosi dico prima guardatemi, poi giudicatemi. Io ho fiducia nelle mie qualità. Faccio parte della nazionale del mio Paese, non sono uno sconosciuto”. Ma i giudizi non sono positivi  Anche perchè il suo dirimpettaio è Rui Costa che  quella sera disputa una delle sue più belle partite con la maglia viola. Il portoghese annichilisce il Milan e Pablo Garcia. La Fiorentina trionfa per 4-0. Rui Costa firma un gol e due assist. Mentre l’uruguaiano si becca un 5 in pagella. Forse anche generoso. Perchè al suo cospetto il numero 10 viola sembra un marziano.

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Zaccheroni lo boccia, ma gli infortuni costringono l’allenatore romagnolo a reimpiegarlo in Champions contro il Galatasaray. E il Milan puntualmente affonda. I turchi vincono 2-0 e Pablo Garcia viene ridicolizzato da Umit Davala, futuro bidone  rossonero. Corsi e ricorsi storici. Nonostante il rendimento disastroso, Zac  lo riconferma. Ma anche a Bergamo, il sergente Garcia, come viene chiamato ironicamente dai suoi tifosi,  annaspa e fornisce un’altra prestazione mediocre. Poi piano piano, Garcia finisce nel dimenticatoio. Termina la stagione senza tornare più in campo. A fine campionato, il Milan gli concede un’altra possibilità. Sempre in Italia, perchè lo cede in prestito al Venezia. Però in Laguna l’ uruguaiano  gioca appena 14 partite. A fine anno, Garcia torna in Spagna e si accasa all’Osasuna. Poi un’altra grande chance. Da far tremare le gambe. Finisce al Real Madrid. Diviene anche la prima scelta dei madrileni al posto di Gravesen. Ma diversi infortuni gli impediscono di conservare il posto da titolare. Poi arriva in panchina Fabio Capello e  Pablo Garcia non rientra più nei piani del tecnico friulano. Da quel momento sale sulla giostra dei trasferimenti. Tanta Spagna, prima di trasferirsi in Grecia. Attualmente gioca nello Scoda Xanthi. O almeno ci prova. Anche perchè è stato convocato solo 4 volte in questa stagione.

Mariano Messinese

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Winston Bogarde: la generosità del ragazzaccio

AMARCORD – BOGARDE: LA GENEROSITA’ DEL RAGAZZACCIO

Winston Bogarde(fonte foto: www.icampionidellosport.com)

Winston Bogarde (fonte foto: http://www.icampionidellosport.com)

Da ragazzo era un delinquente e aveva modi di fare da troglodita. Lo ammise anche lui negli ultimi anni della carriera. Ma il ragazzaccio aveva anche  il cuore tenero. Chiedete a Oliver Bierhoff, se non ci credete.Altrimenti lo raccontiamo noi: stadio Friuli, posticipo serale della terza giornata del campionato 97-98. Il Milan sta pareggiando 1-1 contro l’Udinese. Mancano 5′ al termine del match, dominato in larga parte dalla squadra di Capello. Il pallone è tra i piedi di Winston Bogarde, il protagonista dell’amarcord di oggi. Il terzino sinistro olandese vuole servire Taibi, il portiere milanista. Ma il suo retropassaggio è un regalo a Bierhoff che tutto solo si invola verso la porta rossonera e trafigge Taibi. Grazie alla generosità di Bogarde l’Udinese trionfa. Ma la stampa non gradisce la filantropia del terzino rossonero e lo crocifigge con un 4 in pagella sintetizzato cosi sulla Rosea: “Se il Milan perde la colpa e’ soprattutto sua “.

In pratica a Bogarde non mancano solo i fondamentali delle buone maniere, ma anche quelli del calcio. E forse anche per questo che l’olandese, acquistato a parametro zero in estate (ecco), a fine settembre è già sul mercato, anche se la prossima sessione si aprirà solo fra  3 mesi. E poi con Capello non si scherza,  chi sbaglia finisce fuori. Ma l’emergenza in difesa cospira contro il tecnico di Pieris che è costretto a schierarlo di nuovo in Coppa Italia. Il Milan vince in rimonta 3-2 contro la Sampdoria, con un gol allo scadere di  Kluivert e  il boicottaggio di Bogarde che regala  due reti  alla Samp. Ma l’infermeria dei rossoneri non si svuota e quindi Capello è costretto ancora una volta a ricorrere a Bogarde che rileva al 7′ della ripresa Cardone, con il Milan sotto di due gol e in inferiorità numerica  contro la matricola Lecce. La situazione è già difficile, ma l’olandese prova a complicarla ancora di più con alcuni retropassaggi da brivido, diventati il suo marchio di fabbrica. La sconfitta contro il Lecce coincide comunque con l’ultima presenza di Bogarde al Milan. A gennaio viene venduto al Barcellona. E anche in Catalogna stupisce. Soprattutto gli attaccanti delValencia che rifilano 4 gol ai Blaugrana in un pirotecnico 3-4 al Camp  Nou con l’olandese in campo. Resta in Spagna fino all’estate del 2000, quando approda al Chelsea, dove resterà fino al 2004, prima di appendere gli scarpini al chiodo nel novembre del 2005.

Insomma, Bogarde ha vestito le maglie di Milan, Barcellona e Chelsea. Una carriera di tutto rispetto.  Strano per uno dei peggiori difensori del calcio europeo. Ma il mistero è presto svelato: dal 1997 al 2004, Bogarde ha collezionato appena 52 presenze, con una media di 7  partite e mezzo a stagione. Imbarazzante, sì, ma mai quanto il 4,75 della sua media voto durante l’avventura italiana. La generosità non paga. Soprattutto in pagella.

Mariano Messinese
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Bruno Montelongo: il desaparecido rossonero

E’ finita prima ancora di iniziare. In questo ossimoro c’è la sintesi dell’esperienza di Bruno Montelongo al Milan e più in generale nel calcio italiano. Il Milan lo pescò dall’ Uruguay nell’estate del 2010. Non era la prima volta che la società di Via Turati sceglieva i suoi giocatori nel piccolo stato sudamericano. Era già successo l’anno precedente, quando arrivarono Viudez e Cardacio. E dal momento che non c’è due senza tre, a Milanello giunse anche Montelongo, sponsorizzato dal quel vecchio marpione di Paco Casal. Per intenderci, il procuratore che aveva portato in Italia Ruben Sosa, Francescoli, ma anche Sorondo e Carini. Campione o pippone? Il dubbio era amletico. Anche se non fu sciolto fino in fondo.

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Terzino destro naturale, Montelongo aveva appena 22 anni. Era stato ingaggiato per favorire il ricambio generazionale in quel ruolo  che vantava troppi veterani come:Papastathopoulos e Bonera, ma anche Oddo e Zambrotta. Insomma, la concorrenza c’era. Ed era numerosa, proprio come gli impegni del Milan, in lotta su 3 fronti: campionato, Champions e Coppa Italia. Vuoi vedere che non si trovi un po’ di spazio anche per Montelongo? E infatti finisce proprio così. Il terzino uruguaiano non scende mai in campo: neanche un minuto con la maglia rossonera in partite ufficiali.

E dopo una prima parte di stagione vissuta tra panchina, tribuna e qualche seduta in palestra, a gennaio si riaprono le porte del mercato. E su Montelongo piomba come un falco il Bologna. Finisce sempre così: gli errori delle grandi società si ripercuotono sulle piccole. E’ una storia vecchia come il mondo, ma sempre attuale. Infatti in  Emilia le cose vanno peggio. Anche perchè Montelongo si rompe il legamento crociato anteriore. Diagnosi: stagione finita. E così anche a Bologna la sua esperienza finisce prima ancora di incominciare. Il suo calvario in Italia si interrompe qui: è giunto il momento del rimpatrio. Nell’estate del 2011, Montelongo fa ritorno in Uruguay, al Penarol per la precisione. Gioca una stagione e poi si accasa al River Plate, ma non quello di Buenos Aires, bensì quello di Montevideo. In patria cambia vita e ruolo: oggi gioca come  esterno destro di centrocampo. In Italia era considerato un terzino. Ma forse era solo una leggenda. Del resto nessuno l’ha mai visto giocare.

Mariano Messinese
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Cardacio: dall’enigma del nome alla stagione anonima

 

Il tempo delle spese folli è finito. Non vale solo per l’italiano medio, ma anche per le società calcistiche. Ricordate quei formidabili anni a ridosso del 2000 quando i presidenti si svenavano per quel campione o per quella promessa del calcio mondiale? Ecco,rimuoveteli, perchè come disse Galliani in quella afosa estate del 2008:” «Il mercato del futuro si farà così. Un po’ i Ronaldinho e un po’ i Viudez o i Cardacio, perché i costi sono proibitivi”. E proprio Mathias Cardacio è il protagonista di questa ennesima puntata di Amarcord. Quando sbarcò a Milano nell’agosto del 2008 era giovane. Molto giovane: aveva appena vent’anni E soprattutto dell’uruguaiano si sapeva poco o niente. Nemmeno il nome, pardon, il cognome era certo. Secondo la “Fifa” si chiamava Cardaccio, come suo padre, ex giocatore del Nacional, mentre sul passaporto c’era scritto Cardacio, con una sola “c”. E siccome i documenti in questo mondo valgono più di ogni altra cosa, alla fine si decise di chiamarlo Cardacio.

A portarlo in Italia era stato il suo procuratore Daniel Fonseca. Oltre alla solita lungimiranza di Galliani. Dai primi allenamenti,Ancelotti capì che l’uruguaiano era un centrocampista in grado di ricoprire un po’ tutti i ruoli in mediana. Anzi, la sua capacità di gestione del pallone impressionò il tecnico rossonero. Insomma, Cardacio pensò di essere l’attrazione del luna park,quella ruota panoramica che gira dolcemente e che è visibile anche a distanza di km. Ma l’uruguaiano preferì rimanere con i piedi ben piantati per terra: in pratica optò per un profilo basso e per questo motivo dichiarò di ispirarsi a Pirlo in una intervista rilasciata a Tuttosport...

Ma c’è una differenza sostanziale tra Pirlo e Cardacio: il metronomo. Pirlo ce l’ha incorporato e lo usa per dettare i tempi alla squadra, mentre all’uruguaiano serviva per scandire gli infiniti attimi da trascorrere in panchina. Anche perchè per debuttare in rossonero, Cardacio deve attendere il 3 dicembre,cioè più di 3 mesi. A San Siro si giocano gli ottavi di coppa Italia: sfida secca, chi vince passa. E il Milan sta conducendo il match per 1-0, nonostante l’inferiorità numerica. A 5′ dalla fine, Ancelotti  lo manda in campo  e 3 minuti dopo la Lazio trova il pari su rigore. Si va ai tempi supplementari e Pandev punisce il Milan e Cardacio che si perde il macedone nell’azione del gol, dandogli le spalle come un ragazzino.

La Lazio batte il Milan e Cardacio esordisce nel peggiore dei modi.Immagine

Ancelotti capisce che il centrocampista sudamericano non è pronto per il calcio italiano. E decide di tenerlo in panchina.Ma gennaio è alle porte e Cardacio potrebbe andare a farsi le ossa altrove , per esempio a Pisa. Eppure il passaggio salta e l’uruguaiano resta a Milano. Rivede il campo ad aprile in Milan-Palermo 3-0. Entra a risultato acquisito al posto di Beckham al ’78. Ma i giornalisti ignorano l’evento, sbattendogli un anonimo s.v. in pagella. Proprio come la sua annata a Milano. Questa rimarrà comunque la prima e ultima presenza in campionato con la maglia dei rossoneri.

Anche perchè a luglio rescinde il contratto consensualmente con la società di via Turati. Resta per 6 mesi senza squadra, prima di accasarsi al Banfield in Argentina. L’anno successivo viene ingaggiato dai messicani dell’Atlante. Ma in Messico ci resta poco, nel 2011 passa in Grecia all’Olimpiakos Volos. Ma nemmeno nella provincia greca riesce a trovare spazio: 0 partite ufficiali disputate. Allora ritorna in Sud America, al Londrina, squadra brasiliana.

Ma il richiamo della Grecia è forte e come un eroe mitico si reca in Arcadia: viene ingaggiato dall’Asteras Tripolis, provincia pallonara di un calcio nazionale sempre più depresso come la Grecia, sempre più allo stremo delle forze. E Cardacio si adegua subito alla situazione disastrosa, disputando appena 7 partite. E così questa estate prende il volo diretto con biglietto di sola andata per il Cile e si accasa al Colo Colo. Insomma una carriera dinamica, almeno nei trasferimenti. E inversamente proporzionale al suo minutaggio stagionale.

Mariano Messinese

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Dalla Viribus alla Juventus: per aspera ad astra

Dalla Viribus alla Juventus: per aspera ad astra.

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