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Rubrica dedicata a quei campioni che scottati dal sole del Bel paese!

ADIYIAH: IL GHANESE CHE VENIVA DAL NORD

Non sempre i predestinati sono fortunati. Per esempio ad Achille fu vaticinata una vita gloriosa ma breve. E il Pelide, se avesse potuto, l’avrebbe barattata con una più anonima e soprattutto più lunga. Anche Dominic Adiyiah era a  modo suo un predestinato. O meglio, era avviato ad una carriera da predestinato, perchè il ghanese fu inserito, dal settimanale spagnole Don Balon,  nella lista dei 100 giocatori più forti nati dopo l’89. Assieme a Bale e Balotelli. Appunto.

Quella lista  è uno specchietto per le allodole. E qualcuno ci casca. Ovviamente il Milan, che nel gennaio 2010 si aggiudica le prestazione del nuovo talento del calcio africano per la cifra di 1 milione e 400.000 euro. Anche se Galliani aveva già trovato da tempo l’accordo con il Fredrikstad, il club norvegese in cui militava il ghanese. Quanta lungimiranza.

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Cosa ci facesse un ghanese a quelle latitudini resterà un mistero. Ma il freddo, come si vedrà, sarà il metronomo che scandirà la carriera di Adiyiah. Nel frattempo Dominic si allena con il Milan già da novembre, e  qualcuno inizia a fantasticare un tridente del futuro formato da Pato – Paloschi e Adiyiah. Ma resterà solo un sogno, perchè i tre non giocheranno un solo minuto assieme. Anche Galliani vola basso, nonostante sia stato l’artefice dell’operazione: “Se per la terza volta, dopo Aguero e Messi, il capocannoniere del Mondiale Under 20 diventasse un grande campione sarebbe troppa grazia Sant’ Antonio. Adiyiah è un ragazzo e ha ancora tutto da dimostrare”.

Almeno l’Adrianone rossonero ha trovato il Santo a cui votarsi. Ma nonostante le preghiere, Sant’Antonio fa orecchie da mercante. E infatti il giovane attaccante non disputa neanche un minuto con la prima squadra. Anzi, spesso viene impegnato con la formazione primavera. E quando la stagione finisce, è già tempo di mercato. La dirigenza rossonera vuole Otamendi.Ma per acquistarlo serve liberare un posto da extracomunitario. E la scelta cade, come era prevedibile, su Adiyiah. Anche se l’operazione salta, il talento ghanese viene comunque spedito in prestito alla Reggina. Dalla nebbia di Milano al sole dello stretto. Ma quella sarà l’unica oasi di tepore nella sua carriera. A fine stagione, dopo essere stato poco impiegato dalla Reggina, torna al Milan che lo cede in prestito con diritto di riscatto al Partizan. Ma non finisce qui la sua peregrinazione. Anzi, inizia la seconda fase della sua carriera, più dinamica di un tour operator, perchè a fine stagione il Partizan lo riscatta, per poi  cederlo al Karsiyaka, squadra che milita nella seconda serie turca. E a fine stagione? Esatto, i Turchi lo spediscono sempre più a Est, all’Arsenal Kiev. Il 29 ottobre 2013, però, Victor Golovko, l’amministratore delegato del club, presenta istanza di fallimento. Un destino simile alla rivista Don Balon,costretta a chiudere nel 2011, dopo 36 anni di attività senza macchia. O quasi. A patto che si tralasci una lista: quella dei giovani più promettenti in cui figurava Adiyiah.

 

Mariano Messinese

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Steinar Nilsen: la fragilità del norvegese e la difesa di burro

Alla notte artica c’era abituato. Anche perchè veniva da Tromso, a poca distanza dal circolo polare. Ma un conto è stare sei mesi senza luce, un altro convivere una stagione intera con il buio pesto della difesa rossonera targata 97-98. Quando nel novembre del ’97,Steinar Nilsen scelse il Milan per tentare la scalata al calcio che conta, non pensava di doversene pentire un giorno. Del resto il suo modello di riferimento era  Baresi, il capitano e la bandiera del grande Milan. Ma si sa, un conto è ispirarsi alle poesie Baudelaire, un altro è scriverle.

Eppure il norvegese godrebbe anche di un osservatorio privilegiato per imparare: la panchina. Sì, perchè per vederlo in campo bisogna aspettare il 21 dicembre. In pratica, in vista del Natale, Capello decide di regalargli un’opportunità. Il Milan ospita il Bologna a San Siro. La partita finisce 0-0 e Nilsen non demerita durante il suo primo incontro con il calcio italiano. Anche se sarebbe più giusto dire scontro, perchè a 7 minuti dal termine della gara rimedia una capocciata da Marocchi che lo costringe ad abbandonare il terreno di gioco. Insomma, un punto per il Milan e un bel cerottone sulla fronte per il norvegese. Eppure, nonostante l’incidente, si guadagna la  stima di Capello che lo manda in campo nell’andata dei quarti di finale di coppa Italia. Il Milan si concede una grande serata, l’Inter una pausa imbarazzante. I rossoneri vincono 5-0 e segna anche Nilsen con una punizione da oltre venticinque metri che buca la barriera e Pagliuca. E a fine gara riceve anche gli attestati di stima di Capello:”Sin da quando e’ arrivato, l’ho ritenuto un giocatore interessante. Non appena l’ho visto pronto per giocare, gli ho dato la chance e non ha deluso. E’ importante anche lui in questo gruppo” 

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Insomma, una serata perfetta. E invece no, perchè una botta subita da Ronaldo trasforma il sorriso in una smorfia di dolore. La diagnosi è impietosa: infortunio al menisco e conseguente operazione. Nilsen è  così costretto a fermarsi ai box per almeno due mesi. Ritorna in campo il 28 marzo. Ed è come debuttare un’altra volta. Ma questa volta c’è poco da esultare. Anche perchè il Milan ha già mandato in malora la sua stagione. E quando il biondino rileva Daino a inizio ripresa, i suoi compagni sono già sotto 2-1 e in inferiorità numerica contro la Juve.

Nel secondo tempo la Juventus trova il tempo anche di mettere a segno altri due gol che chiudono il match. Ma Nilsen ha ben poche colpe. Si parla di prestazione incoraggiante. Ma è solo un fuoco di paglia perchè la settimana successiva il Milan affonda a Bari e il norvegese delude. Così, come nella finale d’andata contro la Lazio. Il Milan vince, ma Nilsen non convince, anzi viene punito con un 5 in pagella. Voto che viene riconfermato contro il Napoli e motivato dall’accusa di “non fluidificare”. Non che in fase di copertura le cose vadano meglio. Soprattutto perchè i vari Smoje, Beloufa e Cardone, suoi degni compari di reparto, non gli danno una mano. Insomma, peggio che andar di notte. Capello comunque non ne può più e lo spedisce in panchina. Forse è stato un bene, perchè gli risparmia le ultime imbarazzanti uscite in campionato dei rossoneri

A fine stagione il tecnico di Pieris fa le valigie e saluta tutti. Al suo posto arriva Zaccheroni. L’allenatore romagnolo prende la penna e inizia a scrivere la lunga lista degli epurati. In un primo momento Nilsen si salva. Poi Zac ci ripensa e dà il via libera alla sua cessione. E così il difensore venuto dal Circolo polare finisce al Napoli, nella terra d’ O Sole mio. Sembra una burla e invece è vero. Nilsen accetta con la promessa di tornare a fine stagione a Milan. Ma non sarà così. Nilsen resterà all’ombra del Vesuvio altre due stagioni e mezzo. Conquisterà anche una promozione, ma non riuscirà più a giocare una gara in Serie A per colpa dei soliti malanni. Nel 2001 torna in patria al Tromso, tre anni dopo  appende le scarpette al chiodo e diventa allenatore. Ma questa è davvero un’altra storia. Decisamente migliore rispetto alla sua avventura italiana da calciatore.

 

Mariano Messinese 

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Zizi Roberts: la carriera da gambero del raccomandato

Il nepotismo non ha mai fatto bene al mondo. Figuriamoci al Milan. Weah, sovrano assoluto di Milanello bussa alla porta di Braida nell’estate del ’97 per segnalare un suo connazionale. Si chiama Kolubah Roberts, detto Zizi. “E’ buono, è buono – ripete il liberiano, quello forte- in Liberia segna molto”. In pratica, l’ha detto Weah, quindi è vero. E infatti qualche tempo dopo Zizi arriva al Milan. Ha appena 18 anni e la benedizione -raccomandazione di re George. Mica poco.

Lo stesso Capello, al ritorno sulla panchina rossonera, aggrega Roberts alla prima squadra per la tournèe in Brasile. In effetti il giovane liberiano in mezzo a quei grandi campioni- veri o presunti- si mostra timido. Non parla con nessuno, cerca sempre lo sguardo e il consenso di Weah, proprio come il popolano che ,invitato in un club della nobiltà londinese,non apre bocca per paura di fare una brutta figura. In campo, invece non farà brutte figure. Anche perchè giocherà appena 23 minuti, prima di essere spedito in Brianza al Monza. Senza ricevuta di ritorno. Ovviamente. Del resto in quegli anni il Monza più che un club satellite è una vera e propria pattumiera del Milan, dal momento che raccoglie tutti gli scarti e gli errori della dirigenza rossonera.

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E così l’avventura di Roberts alla corte di Capello finisce prima ancora di iniziare. E’ un fulmine a ciel sereno, ma non ci rimane male. Anzi, riconosce che al Milan avrebbe avuto poco spazio e aggiunge “Poi qui siamo a pochi chilometri da Milano e l’amico George mi ha garantito che, non appena la serie A effettuerà una sosta, farà di tutto per venire a vedermi e a incitarmi”.

In realtà la vita in provincia non è bella, a tratti può essere talmente annoiante da risultare soporifera per Zizi. Il Monza gioca contro il Venezia di Novellino, ma dopo pranzo Roberts si abbiocca. E così mentre la sua squadra si avvia allo stadio, lui dorme beato. Finchè non si sveglia di soprassalto e raggiunge in auto i suoi compagni che stanno già giocando. Ma come in certe commedie sportive americane, il liberiano entra e segna nel finale il gol decisivo di testa. E a festeggiare in tribuna c’è anche Weah, che ha raggiunto Monza per vedere all’opera il suo amico-protetto.

Zizi è al settimo cielo, ha segnato il gol che ha regalato la prima vittoria alla sua squadra. Se non è stato il giorno più bello della sua vita calcistica poco ci manca e ci tiene a sottolinearlo:  “Dedico questo gol ai tifosi del Monza che mi hanno accolto con grande calore fin dal primo giorno”. Ma con l’arrivo dell’inverno le temperature si abbassano e l’entusiasmo dei monzesi si raffredda. Alla fine Zizi chiude la stagione segnando 5 gol, tutti realizzati partendo dalla panchina. Invece quando parte titolare le cose cambiano. Il suo allenatore Bolchi lo schiera a sprazzi “perchè in partita si perde, commette ingenuità”. In pratica Zizi, che significa forte come il legno, in campo diventa un pezzo di legno. L’anno successivo il Milan lo gira al Ravenna.

E qui c’è l’intuizione di Sergio Santarini, tecnico dei romagnoli, che arretra Roberts in difesa, schierandolo come terzino. Più che intuizione è preveggenza, perchè la carriera di Roberts sarà a passo di gambero come la sua collocazione tattica. In pratica passerà dai campionati più importanti a quelli più infimi, compreso quello nordirlandese. Ma forse la colpa è di Weah, almeno stando alle dichiarazioni del diretto interessato:” George ha sempre avuto fiducia in me, mentre mio padre voleva che studiassi”. Se avesse dato retta ai consigli paterni, adesso il Milan avrebbe una meteora in meno e la Liberia un laureato in più.

Mariano Messinese

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Il teorema di Pitagora: Crotone 3 – Avellino 2

pellegrino e il lupo

In ogni triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è sempre equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Cosi il teorema di Pitagora.
Altrettanto dimostrabile, alla vigilia, e con pari rigore scientifico, la seguente proposizione: se l’avversario ne ha segnati ventitré e ne ha subiti ventidue, la partita la vinci o la perdi in difesa.
E la partita contro i Pitagorici, oggi, l’abbiamo persa in difesa, orfana di Terracciano e Fabbro e con un Pisacane che la settimana l’ha passata in infermeria, scarsamente sorretta da un centrocampo troppo molle in fase di filtro: Arini si danna come al solito, ma il rientrante Massimo non la vede mai, mentre D’Angelo, pure lui alle prese con i postumi della battaglia con le Vespe, getta ben presto la spugna.
Il Crotone si dimostra squadra tecnica e veloce e vince meritatamente: pronti, via, e i calabresi sono già in vantaggio; l’Avellino segna con Zappacosta…

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Mido: l’ultimo (deposto) re di Roma

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La geometria, l’architettura, i fogli di papiro. Non c’è dubbio: l’Occidente è in debito con la civiltà egizia. E il calcio? No, quello è un ‘altra storia. Arriva da un’isola che al tempo della costruzione delle prime piramidi era abitata da popolazioni selvagge. Da lì l’arte della pedata si è diffuso in tutto il mondo, anche se per molto tempo le coste del Nord Africa ne sono state lambite soltanto in maniera marginale. Ecco perchè sulle sponde del pur generoso Nilo non è mai sbocciato un talento calcistico.

Anche il protagonista di questa storia non può essere considerato un talento. E’ egiziano, si chiama Ahmed Hossam, ma tutti lo chiamano Mido. Dicono che sia pigro, indolente, rissoso. Insomma una testa calda. Un identikit che dovrebbe spingere le squadre a girare a largo da lui. E invece la Roma lo acquista nell’estate del 2004 dal Marsiglia con un trattativa lampo. In 4 ore viene messo tutto nero su bianco e l’egiziano diventa il nuovo attaccante giallorosso. Ma la tifoseria lo accoglie freddamente. Si aspettava Ibrahimovic e si ritrova Mido. Non proprio la stessa cosa.

Qualcuno tra il serio e il faceto inizia a chiamarlo Re Mido. Ma nell’Urbe i re non hanno avuto molto fortuna. E infatti la storia non fa sconti nemmeno all’egiziano già dal primo giorno: la macchina che lo porta a Trigoria tampona una vettura parcheggiata, alle visite mediche si scopre che soffre di una infiammazione agli adduttori. Qualche giorno dopo scoppia la grana legata al suo permesso di soggiorno e infine anche la pubalgia si accanisce sul neo-acquisto.

Mido  debutta durante il nubifragio giallorosso sullo stretto di Messina. Finisce 4-3 per i peloritani e l’egiziano si segnala per due assist:  con il primo manda in porta Montella, con l’altro Giampà. Alla fine si becca un 5,5 in pagella.

Va meglio  nella gara successiva contro il Lecce: ancora un assist, questa volta per Mancini e un 6 in pagella. Votazioni che non cambiano nelle gare successive. E che continuano ad oscillare tra la sufficienza e l’insufficienza. Insomma , specchio specchio delle mie brame chi è il più mediocre del reame?. Ma tu, o mio sovrano.

Anche se il ramadan è finito da un pezzo, l’egiziano continua il suo digiuno di gol. E infatti a fine ottobre già si vocifera di una sua probabile cessione all’estero, perché in Italia, dopo averlo visto all’opera, nessuno lo vuole.

Sull’attaccante della Roma  si muovono quindi con decisione il Southampton  e il Tottenham, con la benedizione di Del Neri che può liberare così un posto in squadra al suo pupillo: Cossato. A spuntarla è proprio il Tottenham che si aggiudica le prestazioni, per la verità abbastanza scadenti, dell’egiziano.  E così come Tarquinio il Superbo, il popolo romano e romanista insorge e condanna il suo sovrano all’esilio, questa volta nella Terra d’Albione.

Deposti  scettro e corona, Re Mido fa in tempo a vendicarsi, impedendo l’acquisto di Cossato. In patria era il faraone, a Roma divenne una mummia imbalsamata, quella della maledizione. Anche perchè la Roma disputò quell’anno il peggior campionato della sua storia dal dopoguerra.

Mido conclude la sua (mezza) stagione con 8 presenze, 0 gol realizzati e la media del 5,5

Mariano Messinese

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Tulio De Melo: il frutto della gravità

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La leggenda narra che Isaac Newton scoprì la gravità quando una mela gli cadde in testa mentre riposava sotto un albero di mele. A proposito di gravità e di cose che cadono, il calcio italiano, e più specificatamente il Palermo, ha conosciuto una meteora: Tulio De Melo. Attaccante brasiliano classe ’85, Tùlio Vinìcius Fròes De Melo è noto alle cronache calcistiche italiane soprattutto per la diatriba che scatenò nell’estate del 2008 tra Parma e Palermo.

Spiccato nel Le Mans di Rudi Garcia, De Melo pensò bene di firmare un precontratto sia con i ducali che con i siciliani, così tanto per essere sicuro di venire a giocare in Italia: two è meglio che one. Le due società, dopo ricatti, ripicche, accuse e minacce, si accordarono: i gialloblù si defilarono lasciando il brasiliano al Palermo. La squadra di Colantuono aveva da poco perso Amauri, passato alla Juventus per 25 milioni di euro: “Sono molto contento di giocare nel prossimo campionato in Italia con il Palermo. So che li c´è grande attesa per il dopo Amauri. E´ un´eredità pesante, ma il mio obiettivo è quello di non far rimpiangere troppo il brasiliano, se avrò la possibilità di giocare”.

Il lungo braccio di ferro con il Parma per averlo aveva creato enormi aspettative tra il popolo rosanero, convinto del fatto che il presidente Zamparini avesse messo a segno un altro colpo di mercato sensazionale. La prima uscita ufficiale del Palermo del 2008 è del 23 agosto. I rosanero affrontano al “Renzo Barbera” il Ravenna nel turno preliminare di Coppa Italia. Gara difficile, i romagnoli vanno a segno addirittura due volte con il bomber Davide Succi, futuro attaccante proprio del Palermo. Il pubblico della Favorita chiama a gran voce l’ingresso in campo di De Melo e Colantuono non perde tempo ad inserirlo: il secondo tempo è tutto per lui. Il brasiliano si sbatte in campo, serve l’assist per la rete dell’1-2 e trova anche il tempo di farsi ammonire. Il Palermo viene eliminato, ma De Melo non demerita.

Tuttavia, dopo pochi giorni, il Palermo ufficializza la sua cessione al Lille, che nel frattempo ha ingaggiato Rudi Garcia come nuovo allenatore: “De Melo lo abbiamo ceduto perché non ha avuto pazienza. Voleva giocare titolare, invece avrebbe avuto bisogno di tre-quattro mesi per ambientarsi. Il Lille, poi, è andato direttamente sul giocatore e lui si è fatto convincere facilmente perché in quella squadra c’è il tecnico che lo ha allenato al Le Mans”. 

Fulmine a ciel sereno, trattativa di mercato che si è trasformata in barzelletta. Ad accentuare questo imbarazzo, le parole dello stesso De Melo: “Perché sono stato ceduto? Non posso dirlo con esattezza perché veramente non lo so. Ho capito che dovevo andar via per il bene mio e della squadra. Spero che questo divorzio possa servire per un mio miglioramento”. Il Palermo ha avuto ragione a cederlo o doveva puntare su di lui? Difficile dirlo, ma vi possiamo far leggere le cifre che De Melo ha racimolato nei suoi anni al Lille: 129 presenze, 29 reti, 5986 minuti giocati, media-gol di 0.22. Verba volant, scripta manent.

Salvatore Orifici

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David Sesa:un’avventura piena di colpi di scena

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Nel 2000 era approdato a Napoli in pompa magna, i giornali incensavano il suo talento e celebravano il grande colpo della neopromossa azzurra: David Sesa. Lo svizzero era reduce da due anni, disputati ad alti livelli, con la maglia del Lecce dove si era imposto all’attenzione per essere stato uno dei protagonisti della promozione dei salentini al suo primo anno in giallorosso.

Poi, anche nella massima serie, dimostrò un talento che lo rese oggetto del desiderio di molte squadre. Ma, nella campagna acquisti estiva, la spuntò il Napoli che, in preda all’entusiasmo per il ritorno in serie A, si assicurò le sue prestazioni per ben 18 milioni, una cifra non proprio modica. C’era grande attesa intorno a quel Napoli affidato alla guida tecnica di un maestro come Zdenek Zeman, molti preconizzavano una grande stagione dei partenopei. I quali, c’è da dire, esordirono in modo dignitoso, al debutto al San Paolo contro la Juventus, gli azzurri disputarono una buona prestazione passando in vantaggio con Stellone per poi subire la beffarda rimonta ad opera di Kovacevic e Del Piero.

In quel match, il nostro Sesa fu uno dei protagonisti, tant’è che impegno più volte van der Sar per poi servire l’assist per la rete di Stellone.

Per il Napoli fu un inizio tutto in salita, perché nella seconda giornata dovette andare a San Siro in casa dell’Inter. Fu un’imbarcata generale, un naufragio alla Scala del Calcio. Ma, sotto di tre gol e con il risultato ormai in cassaforte per i nerazzurri, l’orgoglio partenopeo fu rappresentato proprio da Sesa che siglò il gol della bandiera rendendo un po’ meno amara la trasferta nella terra della Madunnina.

Un inizio niente male, almeno a livello personale per l’attaccante elvetico, da cui ci si aspettavano fuoco e fiamme, che si ergesse a leader in un primo momento delicato, invece, dopo lo squillo a San Siro il vuoto più totale. Si eclissò completamente, ingenerando una miriade di perplessità esasperatesi poi nel corso della sua avventura all’ombra del Vesuvio. I tifosi del Napoli iniziarono a domandarsi: “Ma vulit vvre ka stu Sesa è pop nu pacc?”, un modo colorito per interrogarsi circa le reali qualità dell’ex leccese. Il campionato ebbe un epilogo funesto sia per il Napoli, che ritornò mestamente in cadetteria, sia per Sesa che non ebbe modo di mettersi in mostra.

Così, per ritornare nuovamente nella massima serie, si decise di puntare su di lui sperando che, per la squadra affidata a Gigi De Canio, potesse diventare uno dei trascinatori, uno dei punti cardine e di riferimento. Ma puntualmente, in attacco ci si affidava ai vari Stellone, Rastelli, Graffiedi, il giovane scugnizzo Floro Flores, di Sesa neanche l’ombra. Solo in un’occasione ebbe gloria giustiziando al San Paolo la corazzata Modena, un gol che valse tre punti fondamentali per sperare di agganciare il treno promozione.

Ma anche il secondo anno in azzurro fu a dir poco disastroso per lui, un solo gol all’attivo e Napoli impantanatosi nel momento dello slancio perdendo il treno decisivo. Altro anno di serie B e per Sesa si sperava che la cura Franco Colomba si rivelasse taumaturgica. E i segnali furono anche incoraggianti dal momento che, alla terza giornata, con il Napoli che doveva riscattare lo scivolone interno subito per mano di un Cosenza corsaro a Fuorigrotta, un gol di Sesa fu sufficiente per violare il San Nicola di Bari. Grazie a quel convincente blitz, salirono anche le quotazioni della squadra azzurra che poi, alternò troppi bassi e alti, e vide sfumare il sogno promozione.

E il nostro Sesa? Qualche progresso. Davvero? Sì, stagione chiusa con due gol, non uno come i primi due anni. Sarebbe stato da ingenerosi non registrare il passo avanti, ma quel gol in più non gli valse l’interessamento dei club più blasonati in campo europeo, lo aspettava l’anno della “consacrazione” con la maglia del Napoli. Quarta stagione in azzurro per lui, ancora un altro allenatore in panchina, fu chiamato Andrea Agostinelli a cui fu consegnato un organico di spessore per puntare dritti alla promozione. Il nostro Sesa doveva completare un reparto ben fornito che annoverava nomi del calibro di Dionigi, Savoldi, Max Vieri, Floro Flores. Risultato? Il Napoli a fine stagione fallì e Sesa non timbrò mai il cartellino. Che dire dei sue quattro anni a Napoli, quando si dice un’avventura piena di colpi di scena…

 

Maurizio Longhi

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Milosevic: un motore a scoppio ritardato

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Guardare ma non toccare. Come negli atelier di lusso. Peccato che spesso i direttori sportivi dimentichino questo divieto e si lascino sedurre dalla vetrina delle competizioni europee. Maledetta curiosità. Quanti bidoni sono stati ingaggiati dopo aver disputato un buon europeo? La lista è lunga.

Non a caso il protagonista della storia di oggi potrebbe comparire in questo elenco. Si tratta del serbo Savo Milosevic, autentica rivelazione di Euro 2000. La sua nazionale disputò un torneo mediocre, ma ciò non gli impedì di laurearsi capocannoniere della manifestazione assieme a Kluivert, altro bidone stagionato. Solo una coincidenza? No, almeno stando ai fatti.

Il Parma ha un vuoto da riempire nel reparto offensivo. Crespo è stata ceduto alla Lazio per una cifra record. Tanzi non bada a spese e decide di sostituire l’argentino proprio con Milosevic, allora in forza al Real Saragozza. Costo dell’operazione? 50 miliardi, pagati sull’unghia.

C’è una cosa che distingue Milosevic dagli altri bidoni arrivati nella massima serie italiana: un precampionato mediocre. Non segna reti a grappoli come certi fenomeni d’agosto che si sgonfiano alle prime piogge autunnali. Anzi, sembra spaesato, l’eredità di Crespo gli pesa come un macigno e come se non bastasse Di Vaio scalpita alle sue spalle. A Parma nessuno si illude. Anzi qualcuno c’è: è Cannavaro che lo paragona a Vieri, Ma il serbo non è un bisonte come Bobone, preferisce considerarsi una tigre: è più furba. Almeno così crede

Ma se la tigre fosse davvero scaltra come la volpe, difficilmente abbandonerebbe le sconfinate praterie gentilmente offerte dalle allegre difese spagnole, per cadere nella trappola delle arcigne retroguardie italiane. E questo l’ex Real Saragozza lo sperimenta fin dalle prime giornate. Le sue prime uscite sono infatti un disastro. Lento, impacciato, mai nel vivo della manovra. Insomma qualcuno comincia a chiedersi chi sia quel lampione piantato in mezzo al campo.

Alla terza giornata il Parma collassa a Perugia e subisce 3 gol in 2o minuti. Ma se la squadra di Malesani tocca il fondo, Milosevic lo raschia, facendosi buttare fuori nel finale e beccandosi un 4 in pagella.

Un antico adagio popolare recita che le disgrazie non vengono mai da sole. Milosevic salta la partita successiva e il Parma coglie il primo successo i campionato contro il Milan. Segna M’boma, un attaccante. Malesani fa 2+2 e manda in panchina i 50 miliardi di Tanzi. Come se non bastasse, ci si mette anche un infortunio a spingerlo in infermeria. Riesce comunque a tornare in campo nel turno che precede la sosta natalizia.

A Natale siamo tutti più buoni e a Napoli lo sono anche di più. La squadra partenopea regala a Milosevic la sua prima gioia in serie A: un gol nella sfida terminata 2-2. Il serbo finalmente si sblocca e può guardare al nuovo anno con un pizzico di fiducia in più.

Lui sì, magari. Il Parma un po’ meno. Almeno per il momento. Malesani viene esonerato dopo la sosta, al suo posto viene chiamato Sacchi. Ma il vate di Fusignano non regge la tensione e si dimette. Al suo posto arriva Ulivieri. E’ la svolta della stagione per il Parma. Gli emiliani scalano la classifica giornata dopo giornata fino ad attestarsi al quarto posto. Non lo molleranno più fino alla fine del campionato.

La cura Ulivieri rigenera anche Milosevic che prende a carburare. Il serbo non è un diesel, ma un motore a scoppio ritardato: infatti l’attaccante inizia a segnare e ad offrire prestazioni convincenti soltanto da febbraio in poi. Al termine della stagione il suo bottino sarà di 8 reti, 7 delle quali realizzate proprio nel girone di ritorno. Gli bastano comunque per garantirsi la riconferma per l’anno successivo. Ma lo slavo non resterà a lungo a Parma. A gennaio del 2002 torna al Real Saragozza e non giocherà più un minuto nel nostro campionato

Milosevic conclude il 2000/2001con la media voto del 6 spaccato. Una media tutto sommato positiva.Tuttavia bisogna fare i conti anche con Einstein e la teoria della relatività. E così la sufficienza stiracchiata del serbo diventa negativa, se rapportata ai 50 miliardi spesi da Tanzi per il suo acquisto e ai 26gol di Crespo . Già ,ancora lui, l’attaccante argentino. Milosevic avrebbe dovuto rimpiazzarlo nei cuori dei tifosi gialloblu. E invece ancora oggi Crespo è rimpianto dai tifosi parmensi,mentre l’attaccante serbo,secondo un recente sondaggio, è risultato essere il secondo giocatore più detestato della storia del club dai supporter gialloblu. Peggio di lui? Soltanto Falsini….

Mariano Messinese

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Bartelt: 10 minuti di celebrità.

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Bartellt a terra, come il suo morale dopo l’esperienza giallorossa

Quando giunse a Roma in una torrida mattinata dell’ agosto 1998, molti si chiesero chi fosse quell’aitante giovanotto dalla folta chioma bionda. Il figlio segreto di Caniggia?Forse, del resto erano entrambi argentini. Ma no, le età non collimavano. Allora forse era un attore. Magari aveva dimenticato di scendere alla fermata Cinecittà. E invece no. Gustavo Javier Bartelt era davvero un calciatore,attaccante per la precisione.

Ma tutto questo scetticismo nella tifoseria giallorossa era anche giustificato:Bartelt era un ripiego. Da tempo i giornali parlavano di una trattativa tra la Roma e il Monaco per Trezeguet. Sensi le aveva provate tutte per portare il franco-argentino sotto il Cupolone, ma dovette scontrarsi con il NIET della dirigenza monagasca che non voleva cederlo. Stanco di ricevere porte in faccia, il presidente della Roma si buttò su Bartelt. Una scelta infelice, della quale avrà modo di pentirsi.

Ma allora chi era questo nuovo centravanti sconosciuto ai più? Tanto per iniziare era un argentino atipico. Non era poverissimo perchè la sua famiglia apparteneva al ceto medio, che a quelle latitudini può tradursi anche come benestante. Non era neanche cresciuto a pane e pallone, perchè aveva iniziato a giocare a 20 anni, più o meno quando la fase puberale era passata da un pezzo e soprattutto,parallelamente al calcio, aveva intrapreso anche la carriera universitaria: indirizzo lingue.

Il precampionato di Bartelt è da sogno. L’argentino è straripante. La Roma non brilla, ma lui va in gol in diverse amichevoli. Nel secondo turno di Coppa Italia la Roma arranca a Verona con il Chievo. E se strappa un pareggio stentato è anche merito del biondino che realizza un gol. Insomma, vuoi vedere che questa volta Sensi ci ha visto bene? Qualcuno dalle parti di Trigoria ,intanto, inizia a cospargersi il capo di cenere. Troppo presto.

E arriva il tanto atteso debutto in campionato. Zeman, complice la squalifica di Delvecchio, schiera il centravanti argentino contro la matricola Salernitana. L’avversario sulla carta è abbordabile. Ma i primi 45′ di campionato sono strani, un po’come il meteo a marzo e perciò può anche capitare che la matricola possa mettere sotto la squadra più quotata. E infatti per un tempo la Roma è in baia della Salernitana e Bartelt non tocca palla. Sembra un lampione piantato in mezzo al rettangolo di gioco. Zeman, disperato, lo sostituisce dopo 55′ con Frau. E’ la svolta della partita. Il carneade sardo la rivolta come un calzino. Sfonda a ripetizione sulla sua fascia e si permette il lusso di mandare in porta Totti con un colpo di tacco. La Roma trionfa 3-1 e Bartelt si becca un 5 in pagella.

Una fitta coltre di scetticismo torna a calare sull’argentino. Oltre al danno anche la beffa. Delvecchio, il suo rivale per una maglia da titolare, va a segno a ripetizione nelle giornate successive. A questo punto a Bartelt non resta che accomodarsi in panchina.

 

Sembra tutto perduto, ma alla quinta giornata accade il miracolo. La Roma è in inferiorità numerica (9vs 10) ed è anche sotto di un gol contro la lanciatissima Fiorentina di Trapattoni. Il Boemo a 10′ dalla fine manda in campo Bartelt. E’ la mossa della disperazione. Ed è anche quella decisiva. Prima, al 90′, si inventa un dribbling impossibile a ridosso della linea di fondo e poi serve ad Alenitchev il pallone del pareggio. Ma non è finita. Al ’94 propizia anche il clamoroso gol vittoria di Totti. Roba da infarto.

Il giorno dopo i titoli dei giornali sono tutti per lui Non solo a Roma. Anche nella terra del tango lo celebrano. La Nacion ci va pesante e titola “Bartelt ha oscurato Batistuta. Insomma in breve tempo il centravanti giallorosso sembra essere diventato l’eroe dei due mondi. Anche Sensi gongola: per 10′ è riuscito a far dimenticare alla sua tifoseria il mancato acquisto di Trezeguet. Insomma, sembra un sogno e anche molto bello.

Il guaio è che dai sogni bisogna svegliarsi prima o poi. Questo vale per tutti. Anche per Bartelt che nelle giornate viene impiegato con il contagocce in campionato. Solo scampoli di partite. Gioca da titolare la gara di coppa Italia, quella in cui la Roma viene eliminata dall’Atalanta che milita in B. Per un verso Zeman non lo ritiene all’altezza del campionato del Bel Paese, per l’altro lui fatica ad adattarsi, fatto sta che a dicembre si vocifera di uno scambio Bartelt- Luiso con il Vicenza.

Ma Bartelt minimizza. Dice di aver previsto questa fase di rigetto dopo l’exploit contro i viola. Dichiara anche di aver finalmente compreso quel che vuole il Boemo e che non vede l’ora di dimostrarlo in partita. La velocità e il dinamismo del gioco della Roma- aggiunge- esalteranno le sue doti. Sì, in allenamento

E infatti la sostanza non cambia. L’ex giocatore del Lanus continua ad accomodarsi in panchina, ormai una sorta di seconda casa. Fortunatamente per lui l’Imu non era stato ancora introdotto. Comunque davanti ai suoi scorrono le immagini del derby vinto contro la Lazio l’incredibile girandola di gol contro l’Inter 4-5, la vittoria contro il Milan e gli scivoloni contro Perugia e Udinese.

Sempre meno eroe e più desaparecido, Bartlet concluderà la stagione con un minutaggio insignificante e 0 gol all’attivo. Un fallimento completo soprattutto se rapportato ai 17 miliardi sborsati da Sensi per acquistarlo. Insomma, un acquisto da dimenticare.

Eppure se oggi chiedete di Bartelt ad un tifoso giallorosso, questi, magari con la pelle d’oca e con gli occhi lucidi, vi parlerà di quei meravigliosi 10 minuti finali contro la Fiorentina. Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti, diceva Warhol. A Bartelt è bastato di meno.

Mariano Messinese 

 

 

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La corazzata PotemKEANE

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Altolà!Non è l’ennesimo tentativo di dileggiare il Santo Graal della cultura cinematografica sinistrorsa. L’unico intento che ci anima è quello di ripercorrere le gesta di una simil meteora del calcio nostrano. Stiamo parlando dell’irlandese Robbie Keane. Saliamo sulla macchina del tempo e planiamo su quella torrida estate del 2000 che scorreva lentamente fra le stanche propaggini delle delusioni di Euro2000 e l’attesa spasmodica per l’inizio del campionato, rimandato insolitamente ad inizio ottobre.

 Il ventenne Robbie Keane raggiunse Milano, sponda nerazzurra, alla fine di luglio. Per accaparrarsi le prestazioni della promessa del calcio britannico, il presidentissimo Moratti non esitò a sborsare quasi 40 miliardi del vecchio conio, per citare Bonolis. Potente, ma rapido, piccolo, ma difficile da buttar giù, parola di Jaap Stam.

Insomma, quel ragazzotto irlandese un po’ tarchiato sembra convincere Moratti, i tifosi e la critica, la stessa che qualche giorno prima sottolineava che l’attaccante fosse solo un’alternativa all’inarrivabile Salas.

Le prime uscite di Keane con la nuova maglia sono sorprendenti: corre, rifinisce e all’occorrenza segna. C’è solo un piccolo grande problema: l’Inter e i suoi discutibili nuovi acquisti: Vampeta, Farinos e poi “il rieccolo” Hakan Sukur, che sarà anche ottomano, ma ha due piedi che sembrano ferri da stiro. All’allegra combriccola si aggiunge, ad ottobre, il tristemente funesto Vratislav Gresko: insomma c’erano 4 amici al bar che volevano rovinare l’Inter (e ci riuscirono,chi prima e chi dopo).

Il punto più basso del precampionato nerazzurro viene raggiunto all’ultimo minuto del ritorno dei preliminari di champions contro il modesto Helsinborgs. Recoba avrebbe l’occasione per prolungare la sfida ai tempi supplementari, ma il suo calcio di rigore sbatte sulla manona dell’estremo difensore svedese. Partita finita e addio sogni di europei.

La botta è pesante, ma è il livido a far male il giorno dopo. E infatti su mister Lippi piovono critiche e contestazioni che fanno tremare la sua panchina manco fosse collocata sopra la faglia di Sant’Andrea. Fra i molti dubbi sollevati, uno riguarda Keane: perchè è stato schierato tardi? In breve Keane sembra essere diventato il salvatore della patria, l’unico vivo in qua squadra di zombie nerazzurri.

E nei giorni successivi il nostro fa di tutto per confermare le buone impressioni aprendo anche le marcature nella finale di supercoppa, finita con un pirotecnico 4-3 per la Lazio. Il campionato sta per partire e l’irlandese è ai blocchi di partenza pronto a scattare come Carl Lewis, ma non ha fatto i conti con la falsa partenza dell’Inter che viene sconfitta alla prima giornata dalla Reggina di Colomba.

Lippi non la prende bene e con un tono poco british annuncia che i giocatori andrebbero presi a calci là, dove non batte il sole. L’esonero è inevitabile e al suo posto subentra una vecchia gloria nerazzurra: Tardelli. La sostanza delle cose non cambia e la sua Inter vive sull’ottovolante, alternando grandi prestazioni(2-0 alla Roma, poi campione d’Italia) a pericolosi scivoloni(3-0 a Udine, 0-1 in casa con il Lecce).

Se l’Inter mostra tutte le pecche di una squadra discontinua, Robbie,invece, ha la costanza di giocare sempre male.Talmente imbarazzante la sua prestazione nella sconfitta casalinga contro il modesto Lecce di Cavasin, da essere definita tragicomica. Inquietante il fatto che si danni l’anima senza mai riuscire a vedere la porta, neanche col binocolo. Sintesi? 4,5 in pagella.

Inevitabilmente tutto il reparto avanzato dell’Inter sale sul banco degli imputati. Ci sale anche Keane, chiamato a giurare con la mano destra sulla bibbia del Calcio di non fare rimpiangere il mancato acquisto di Salas.

La volontà ci sarebbe anche, ma i gol latitano e le sirene di Chelsea e Leeds si fanno strada fra il trafficato parco attaccanti nerazzurro. Keane vorrebbe anche resistere, ma ben presto si accomoda in panchina a vedere i suoi compagni giocare. Non che facciano meglio, dal momento che alla vigilia di Natale tutte le punte hanno segnato complessivamente quanto el pampa Sosa, cioè la miseria di 7 reti.

Numeri da infarto! Qualcuno deve pagare : il gran giurì Moratti non ha dubbi e condanna al rimpatrio proprio Keane che si accasa per 38 miliardi al Leeds. La maglia n.7, lasciata vacante dall’irlandese, viene vestita , udite udite, dall’uruguagio Antonio Pacheco, l’ultima boa alla quale si aggrappa l’Inter per salvare la stagione. Invece Pacheco riesce nell’impresa di fare peggio del suo predecessore: tiro mancino del destino o vendetta postuma di Keane? Mah, forse non lo sapremo mai.

 

Robbie Keane saluta mestamente il campionato italiano con appena 6 presenze e 0 gol realizzati. Media voto: 5,25. 

Mariano Messinese

 

 

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