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Zizi Roberts: la carriera da gambero del raccomandato

Il nepotismo non ha mai fatto bene al mondo. Figuriamoci al Milan. Weah, sovrano assoluto di Milanello bussa alla porta di Braida nell’estate del ’97 per segnalare un suo connazionale. Si chiama Kolubah Roberts, detto Zizi. “E’ buono, è buono – ripete il liberiano, quello forte- in Liberia segna molto”. In pratica, l’ha detto Weah, quindi è vero. E infatti qualche tempo dopo Zizi arriva al Milan. Ha appena 18 anni e la benedizione -raccomandazione di re George. Mica poco.

Lo stesso Capello, al ritorno sulla panchina rossonera, aggrega Roberts alla prima squadra per la tournèe in Brasile. In effetti il giovane liberiano in mezzo a quei grandi campioni- veri o presunti- si mostra timido. Non parla con nessuno, cerca sempre lo sguardo e il consenso di Weah, proprio come il popolano che ,invitato in un club della nobiltà londinese,non apre bocca per paura di fare una brutta figura. In campo, invece non farà brutte figure. Anche perchè giocherà appena 23 minuti, prima di essere spedito in Brianza al Monza. Senza ricevuta di ritorno. Ovviamente. Del resto in quegli anni il Monza più che un club satellite è una vera e propria pattumiera del Milan, dal momento che raccoglie tutti gli scarti e gli errori della dirigenza rossonera.

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E così l’avventura di Roberts alla corte di Capello finisce prima ancora di iniziare. E’ un fulmine a ciel sereno, ma non ci rimane male. Anzi, riconosce che al Milan avrebbe avuto poco spazio e aggiunge “Poi qui siamo a pochi chilometri da Milano e l’amico George mi ha garantito che, non appena la serie A effettuerà una sosta, farà di tutto per venire a vedermi e a incitarmi”.

In realtà la vita in provincia non è bella, a tratti può essere talmente annoiante da risultare soporifera per Zizi. Il Monza gioca contro il Venezia di Novellino, ma dopo pranzo Roberts si abbiocca. E così mentre la sua squadra si avvia allo stadio, lui dorme beato. Finchè non si sveglia di soprassalto e raggiunge in auto i suoi compagni che stanno già giocando. Ma come in certe commedie sportive americane, il liberiano entra e segna nel finale il gol decisivo di testa. E a festeggiare in tribuna c’è anche Weah, che ha raggiunto Monza per vedere all’opera il suo amico-protetto.

Zizi è al settimo cielo, ha segnato il gol che ha regalato la prima vittoria alla sua squadra. Se non è stato il giorno più bello della sua vita calcistica poco ci manca e ci tiene a sottolinearlo:  “Dedico questo gol ai tifosi del Monza che mi hanno accolto con grande calore fin dal primo giorno”. Ma con l’arrivo dell’inverno le temperature si abbassano e l’entusiasmo dei monzesi si raffredda. Alla fine Zizi chiude la stagione segnando 5 gol, tutti realizzati partendo dalla panchina. Invece quando parte titolare le cose cambiano. Il suo allenatore Bolchi lo schiera a sprazzi “perchè in partita si perde, commette ingenuità”. In pratica Zizi, che significa forte come il legno, in campo diventa un pezzo di legno. L’anno successivo il Milan lo gira al Ravenna.

E qui c’è l’intuizione di Sergio Santarini, tecnico dei romagnoli, che arretra Roberts in difesa, schierandolo come terzino. Più che intuizione è preveggenza, perchè la carriera di Roberts sarà a passo di gambero come la sua collocazione tattica. In pratica passerà dai campionati più importanti a quelli più infimi, compreso quello nordirlandese. Ma forse la colpa è di Weah, almeno stando alle dichiarazioni del diretto interessato:” George ha sempre avuto fiducia in me, mentre mio padre voleva che studiassi”. Se avesse dato retta ai consigli paterni, adesso il Milan avrebbe una meteora in meno e la Liberia un laureato in più.

Mariano Messinese

twitter @MarianoWeltgeis

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Bartelt: 10 minuti di celebrità.

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Bartellt a terra, come il suo morale dopo l’esperienza giallorossa

Quando giunse a Roma in una torrida mattinata dell’ agosto 1998, molti si chiesero chi fosse quell’aitante giovanotto dalla folta chioma bionda. Il figlio segreto di Caniggia?Forse, del resto erano entrambi argentini. Ma no, le età non collimavano. Allora forse era un attore. Magari aveva dimenticato di scendere alla fermata Cinecittà. E invece no. Gustavo Javier Bartelt era davvero un calciatore,attaccante per la precisione.

Ma tutto questo scetticismo nella tifoseria giallorossa era anche giustificato:Bartelt era un ripiego. Da tempo i giornali parlavano di una trattativa tra la Roma e il Monaco per Trezeguet. Sensi le aveva provate tutte per portare il franco-argentino sotto il Cupolone, ma dovette scontrarsi con il NIET della dirigenza monagasca che non voleva cederlo. Stanco di ricevere porte in faccia, il presidente della Roma si buttò su Bartelt. Una scelta infelice, della quale avrà modo di pentirsi.

Ma allora chi era questo nuovo centravanti sconosciuto ai più? Tanto per iniziare era un argentino atipico. Non era poverissimo perchè la sua famiglia apparteneva al ceto medio, che a quelle latitudini può tradursi anche come benestante. Non era neanche cresciuto a pane e pallone, perchè aveva iniziato a giocare a 20 anni, più o meno quando la fase puberale era passata da un pezzo e soprattutto,parallelamente al calcio, aveva intrapreso anche la carriera universitaria: indirizzo lingue.

Il precampionato di Bartelt è da sogno. L’argentino è straripante. La Roma non brilla, ma lui va in gol in diverse amichevoli. Nel secondo turno di Coppa Italia la Roma arranca a Verona con il Chievo. E se strappa un pareggio stentato è anche merito del biondino che realizza un gol. Insomma, vuoi vedere che questa volta Sensi ci ha visto bene? Qualcuno dalle parti di Trigoria ,intanto, inizia a cospargersi il capo di cenere. Troppo presto.

E arriva il tanto atteso debutto in campionato. Zeman, complice la squalifica di Delvecchio, schiera il centravanti argentino contro la matricola Salernitana. L’avversario sulla carta è abbordabile. Ma i primi 45′ di campionato sono strani, un po’come il meteo a marzo e perciò può anche capitare che la matricola possa mettere sotto la squadra più quotata. E infatti per un tempo la Roma è in baia della Salernitana e Bartelt non tocca palla. Sembra un lampione piantato in mezzo al rettangolo di gioco. Zeman, disperato, lo sostituisce dopo 55′ con Frau. E’ la svolta della partita. Il carneade sardo la rivolta come un calzino. Sfonda a ripetizione sulla sua fascia e si permette il lusso di mandare in porta Totti con un colpo di tacco. La Roma trionfa 3-1 e Bartelt si becca un 5 in pagella.

Una fitta coltre di scetticismo torna a calare sull’argentino. Oltre al danno anche la beffa. Delvecchio, il suo rivale per una maglia da titolare, va a segno a ripetizione nelle giornate successive. A questo punto a Bartelt non resta che accomodarsi in panchina.

 

Sembra tutto perduto, ma alla quinta giornata accade il miracolo. La Roma è in inferiorità numerica (9vs 10) ed è anche sotto di un gol contro la lanciatissima Fiorentina di Trapattoni. Il Boemo a 10′ dalla fine manda in campo Bartelt. E’ la mossa della disperazione. Ed è anche quella decisiva. Prima, al 90′, si inventa un dribbling impossibile a ridosso della linea di fondo e poi serve ad Alenitchev il pallone del pareggio. Ma non è finita. Al ’94 propizia anche il clamoroso gol vittoria di Totti. Roba da infarto.

Il giorno dopo i titoli dei giornali sono tutti per lui Non solo a Roma. Anche nella terra del tango lo celebrano. La Nacion ci va pesante e titola “Bartelt ha oscurato Batistuta. Insomma in breve tempo il centravanti giallorosso sembra essere diventato l’eroe dei due mondi. Anche Sensi gongola: per 10′ è riuscito a far dimenticare alla sua tifoseria il mancato acquisto di Trezeguet. Insomma, sembra un sogno e anche molto bello.

Il guaio è che dai sogni bisogna svegliarsi prima o poi. Questo vale per tutti. Anche per Bartelt che nelle giornate viene impiegato con il contagocce in campionato. Solo scampoli di partite. Gioca da titolare la gara di coppa Italia, quella in cui la Roma viene eliminata dall’Atalanta che milita in B. Per un verso Zeman non lo ritiene all’altezza del campionato del Bel Paese, per l’altro lui fatica ad adattarsi, fatto sta che a dicembre si vocifera di uno scambio Bartelt- Luiso con il Vicenza.

Ma Bartelt minimizza. Dice di aver previsto questa fase di rigetto dopo l’exploit contro i viola. Dichiara anche di aver finalmente compreso quel che vuole il Boemo e che non vede l’ora di dimostrarlo in partita. La velocità e il dinamismo del gioco della Roma- aggiunge- esalteranno le sue doti. Sì, in allenamento

E infatti la sostanza non cambia. L’ex giocatore del Lanus continua ad accomodarsi in panchina, ormai una sorta di seconda casa. Fortunatamente per lui l’Imu non era stato ancora introdotto. Comunque davanti ai suoi scorrono le immagini del derby vinto contro la Lazio l’incredibile girandola di gol contro l’Inter 4-5, la vittoria contro il Milan e gli scivoloni contro Perugia e Udinese.

Sempre meno eroe e più desaparecido, Bartlet concluderà la stagione con un minutaggio insignificante e 0 gol all’attivo. Un fallimento completo soprattutto se rapportato ai 17 miliardi sborsati da Sensi per acquistarlo. Insomma, un acquisto da dimenticare.

Eppure se oggi chiedete di Bartelt ad un tifoso giallorosso, questi, magari con la pelle d’oca e con gli occhi lucidi, vi parlerà di quei meravigliosi 10 minuti finali contro la Fiorentina. Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti, diceva Warhol. A Bartelt è bastato di meno.

Mariano Messinese 

 

 

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La corazzata PotemKEANE

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Altolà!Non è l’ennesimo tentativo di dileggiare il Santo Graal della cultura cinematografica sinistrorsa. L’unico intento che ci anima è quello di ripercorrere le gesta di una simil meteora del calcio nostrano. Stiamo parlando dell’irlandese Robbie Keane. Saliamo sulla macchina del tempo e planiamo su quella torrida estate del 2000 che scorreva lentamente fra le stanche propaggini delle delusioni di Euro2000 e l’attesa spasmodica per l’inizio del campionato, rimandato insolitamente ad inizio ottobre.

 Il ventenne Robbie Keane raggiunse Milano, sponda nerazzurra, alla fine di luglio. Per accaparrarsi le prestazioni della promessa del calcio britannico, il presidentissimo Moratti non esitò a sborsare quasi 40 miliardi del vecchio conio, per citare Bonolis. Potente, ma rapido, piccolo, ma difficile da buttar giù, parola di Jaap Stam.

Insomma, quel ragazzotto irlandese un po’ tarchiato sembra convincere Moratti, i tifosi e la critica, la stessa che qualche giorno prima sottolineava che l’attaccante fosse solo un’alternativa all’inarrivabile Salas.

Le prime uscite di Keane con la nuova maglia sono sorprendenti: corre, rifinisce e all’occorrenza segna. C’è solo un piccolo grande problema: l’Inter e i suoi discutibili nuovi acquisti: Vampeta, Farinos e poi “il rieccolo” Hakan Sukur, che sarà anche ottomano, ma ha due piedi che sembrano ferri da stiro. All’allegra combriccola si aggiunge, ad ottobre, il tristemente funesto Vratislav Gresko: insomma c’erano 4 amici al bar che volevano rovinare l’Inter (e ci riuscirono,chi prima e chi dopo).

Il punto più basso del precampionato nerazzurro viene raggiunto all’ultimo minuto del ritorno dei preliminari di champions contro il modesto Helsinborgs. Recoba avrebbe l’occasione per prolungare la sfida ai tempi supplementari, ma il suo calcio di rigore sbatte sulla manona dell’estremo difensore svedese. Partita finita e addio sogni di europei.

La botta è pesante, ma è il livido a far male il giorno dopo. E infatti su mister Lippi piovono critiche e contestazioni che fanno tremare la sua panchina manco fosse collocata sopra la faglia di Sant’Andrea. Fra i molti dubbi sollevati, uno riguarda Keane: perchè è stato schierato tardi? In breve Keane sembra essere diventato il salvatore della patria, l’unico vivo in qua squadra di zombie nerazzurri.

E nei giorni successivi il nostro fa di tutto per confermare le buone impressioni aprendo anche le marcature nella finale di supercoppa, finita con un pirotecnico 4-3 per la Lazio. Il campionato sta per partire e l’irlandese è ai blocchi di partenza pronto a scattare come Carl Lewis, ma non ha fatto i conti con la falsa partenza dell’Inter che viene sconfitta alla prima giornata dalla Reggina di Colomba.

Lippi non la prende bene e con un tono poco british annuncia che i giocatori andrebbero presi a calci là, dove non batte il sole. L’esonero è inevitabile e al suo posto subentra una vecchia gloria nerazzurra: Tardelli. La sostanza delle cose non cambia e la sua Inter vive sull’ottovolante, alternando grandi prestazioni(2-0 alla Roma, poi campione d’Italia) a pericolosi scivoloni(3-0 a Udine, 0-1 in casa con il Lecce).

Se l’Inter mostra tutte le pecche di una squadra discontinua, Robbie,invece, ha la costanza di giocare sempre male.Talmente imbarazzante la sua prestazione nella sconfitta casalinga contro il modesto Lecce di Cavasin, da essere definita tragicomica. Inquietante il fatto che si danni l’anima senza mai riuscire a vedere la porta, neanche col binocolo. Sintesi? 4,5 in pagella.

Inevitabilmente tutto il reparto avanzato dell’Inter sale sul banco degli imputati. Ci sale anche Keane, chiamato a giurare con la mano destra sulla bibbia del Calcio di non fare rimpiangere il mancato acquisto di Salas.

La volontà ci sarebbe anche, ma i gol latitano e le sirene di Chelsea e Leeds si fanno strada fra il trafficato parco attaccanti nerazzurro. Keane vorrebbe anche resistere, ma ben presto si accomoda in panchina a vedere i suoi compagni giocare. Non che facciano meglio, dal momento che alla vigilia di Natale tutte le punte hanno segnato complessivamente quanto el pampa Sosa, cioè la miseria di 7 reti.

Numeri da infarto! Qualcuno deve pagare : il gran giurì Moratti non ha dubbi e condanna al rimpatrio proprio Keane che si accasa per 38 miliardi al Leeds. La maglia n.7, lasciata vacante dall’irlandese, viene vestita , udite udite, dall’uruguagio Antonio Pacheco, l’ultima boa alla quale si aggrappa l’Inter per salvare la stagione. Invece Pacheco riesce nell’impresa di fare peggio del suo predecessore: tiro mancino del destino o vendetta postuma di Keane? Mah, forse non lo sapremo mai.

 

Robbie Keane saluta mestamente il campionato italiano con appena 6 presenze e 0 gol realizzati. Media voto: 5,25. 

Mariano Messinese

 

 

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