Articoli con tag: Milan

Pablo Garcia: le occasioni (perse) del Sergente

La burocrazia aveva fatto di tutto per salvare il Milan. Ma invano. Perchè la società si intestardì. Risolse il problema legato allo stato di extracomunitario dell’uruguaiano Pablo Garcia e lo mise alle dipendenze di Zaccheroni. Dopo 4 mesi di tribuna. Sì perchè il Milan lo aveva acquistato  dall’Atletico Madrid a metà settembre del 2000  pagandolo anche un bel po’. Più o meno 10 miliardi di lire. Ben presto a Milanello si accorsero, però, che la lentezza burocratica era lo specchio del nuovo acquisto. In pratica un centrocampista con la moviola incorporata nelle gambe. Nonostante Jose Mari, ex Atletico, garantisse sulle doti dinamiche del suo ex/nuovo compagno di squadra. E non solo. Anche Passarella rassicurò Zaccheroni:” Pablo ha tutto per fare bene in Italia”

Dopo una lunga attesa,  con il nuovo anno arriva finalmente il debutto in campionato. Zaccheroni lo manda in campo contro la Fiorentina. Pablo Garcia avvisa alla vigilia del match: ”Ai tifosi dico prima guardatemi, poi giudicatemi. Io ho fiducia nelle mie qualità. Faccio parte della nazionale del mio Paese, non sono uno sconosciuto”. Ma i giudizi non sono positivi  Anche perchè il suo dirimpettaio è Rui Costa che  quella sera disputa una delle sue più belle partite con la maglia viola. Il portoghese annichilisce il Milan e Pablo Garcia. La Fiorentina trionfa per 4-0. Rui Costa firma un gol e due assist. Mentre l’uruguaiano si becca un 5 in pagella. Forse anche generoso. Perchè al suo cospetto il numero 10 viola sembra un marziano.

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Zaccheroni lo boccia, ma gli infortuni costringono l’allenatore romagnolo a reimpiegarlo in Champions contro il Galatasaray. E il Milan puntualmente affonda. I turchi vincono 2-0 e Pablo Garcia viene ridicolizzato da Umit Davala, futuro bidone  rossonero. Corsi e ricorsi storici. Nonostante il rendimento disastroso, Zac  lo riconferma. Ma anche a Bergamo, il sergente Garcia, come viene chiamato ironicamente dai suoi tifosi,  annaspa e fornisce un’altra prestazione mediocre. Poi piano piano, Garcia finisce nel dimenticatoio. Termina la stagione senza tornare più in campo. A fine campionato, il Milan gli concede un’altra possibilità. Sempre in Italia, perchè lo cede in prestito al Venezia. Però in Laguna l’ uruguaiano  gioca appena 14 partite. A fine anno, Garcia torna in Spagna e si accasa all’Osasuna. Poi un’altra grande chance. Da far tremare le gambe. Finisce al Real Madrid. Diviene anche la prima scelta dei madrileni al posto di Gravesen. Ma diversi infortuni gli impediscono di conservare il posto da titolare. Poi arriva in panchina Fabio Capello e  Pablo Garcia non rientra più nei piani del tecnico friulano. Da quel momento sale sulla giostra dei trasferimenti. Tanta Spagna, prima di trasferirsi in Grecia. Attualmente gioca nello Scoda Xanthi. O almeno ci prova. Anche perchè è stato convocato solo 4 volte in questa stagione.

Mariano Messinese

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Bruno Montelongo: il desaparecido rossonero

E’ finita prima ancora di iniziare. In questo ossimoro c’è la sintesi dell’esperienza di Bruno Montelongo al Milan e più in generale nel calcio italiano. Il Milan lo pescò dall’ Uruguay nell’estate del 2010. Non era la prima volta che la società di Via Turati sceglieva i suoi giocatori nel piccolo stato sudamericano. Era già successo l’anno precedente, quando arrivarono Viudez e Cardacio. E dal momento che non c’è due senza tre, a Milanello giunse anche Montelongo, sponsorizzato dal quel vecchio marpione di Paco Casal. Per intenderci, il procuratore che aveva portato in Italia Ruben Sosa, Francescoli, ma anche Sorondo e Carini. Campione o pippone? Il dubbio era amletico. Anche se non fu sciolto fino in fondo.

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Terzino destro naturale, Montelongo aveva appena 22 anni. Era stato ingaggiato per favorire il ricambio generazionale in quel ruolo  che vantava troppi veterani come:Papastathopoulos e Bonera, ma anche Oddo e Zambrotta. Insomma, la concorrenza c’era. Ed era numerosa, proprio come gli impegni del Milan, in lotta su 3 fronti: campionato, Champions e Coppa Italia. Vuoi vedere che non si trovi un po’ di spazio anche per Montelongo? E infatti finisce proprio così. Il terzino uruguaiano non scende mai in campo: neanche un minuto con la maglia rossonera in partite ufficiali.

E dopo una prima parte di stagione vissuta tra panchina, tribuna e qualche seduta in palestra, a gennaio si riaprono le porte del mercato. E su Montelongo piomba come un falco il Bologna. Finisce sempre così: gli errori delle grandi società si ripercuotono sulle piccole. E’ una storia vecchia come il mondo, ma sempre attuale. Infatti in  Emilia le cose vanno peggio. Anche perchè Montelongo si rompe il legamento crociato anteriore. Diagnosi: stagione finita. E così anche a Bologna la sua esperienza finisce prima ancora di incominciare. Il suo calvario in Italia si interrompe qui: è giunto il momento del rimpatrio. Nell’estate del 2011, Montelongo fa ritorno in Uruguay, al Penarol per la precisione. Gioca una stagione e poi si accasa al River Plate, ma non quello di Buenos Aires, bensì quello di Montevideo. In patria cambia vita e ruolo: oggi gioca come  esterno destro di centrocampo. In Italia era considerato un terzino. Ma forse era solo una leggenda. Del resto nessuno l’ha mai visto giocare.

Mariano Messinese
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Cardacio: dall’enigma del nome alla stagione anonima

 

Il tempo delle spese folli è finito. Non vale solo per l’italiano medio, ma anche per le società calcistiche. Ricordate quei formidabili anni a ridosso del 2000 quando i presidenti si svenavano per quel campione o per quella promessa del calcio mondiale? Ecco,rimuoveteli, perchè come disse Galliani in quella afosa estate del 2008:” «Il mercato del futuro si farà così. Un po’ i Ronaldinho e un po’ i Viudez o i Cardacio, perché i costi sono proibitivi”. E proprio Mathias Cardacio è il protagonista di questa ennesima puntata di Amarcord. Quando sbarcò a Milano nell’agosto del 2008 era giovane. Molto giovane: aveva appena vent’anni E soprattutto dell’uruguaiano si sapeva poco o niente. Nemmeno il nome, pardon, il cognome era certo. Secondo la “Fifa” si chiamava Cardaccio, come suo padre, ex giocatore del Nacional, mentre sul passaporto c’era scritto Cardacio, con una sola “c”. E siccome i documenti in questo mondo valgono più di ogni altra cosa, alla fine si decise di chiamarlo Cardacio.

A portarlo in Italia era stato il suo procuratore Daniel Fonseca. Oltre alla solita lungimiranza di Galliani. Dai primi allenamenti,Ancelotti capì che l’uruguaiano era un centrocampista in grado di ricoprire un po’ tutti i ruoli in mediana. Anzi, la sua capacità di gestione del pallone impressionò il tecnico rossonero. Insomma, Cardacio pensò di essere l’attrazione del luna park,quella ruota panoramica che gira dolcemente e che è visibile anche a distanza di km. Ma l’uruguaiano preferì rimanere con i piedi ben piantati per terra: in pratica optò per un profilo basso e per questo motivo dichiarò di ispirarsi a Pirlo in una intervista rilasciata a Tuttosport...

Ma c’è una differenza sostanziale tra Pirlo e Cardacio: il metronomo. Pirlo ce l’ha incorporato e lo usa per dettare i tempi alla squadra, mentre all’uruguaiano serviva per scandire gli infiniti attimi da trascorrere in panchina. Anche perchè per debuttare in rossonero, Cardacio deve attendere il 3 dicembre,cioè più di 3 mesi. A San Siro si giocano gli ottavi di coppa Italia: sfida secca, chi vince passa. E il Milan sta conducendo il match per 1-0, nonostante l’inferiorità numerica. A 5′ dalla fine, Ancelotti  lo manda in campo  e 3 minuti dopo la Lazio trova il pari su rigore. Si va ai tempi supplementari e Pandev punisce il Milan e Cardacio che si perde il macedone nell’azione del gol, dandogli le spalle come un ragazzino.

La Lazio batte il Milan e Cardacio esordisce nel peggiore dei modi.Immagine

Ancelotti capisce che il centrocampista sudamericano non è pronto per il calcio italiano. E decide di tenerlo in panchina.Ma gennaio è alle porte e Cardacio potrebbe andare a farsi le ossa altrove , per esempio a Pisa. Eppure il passaggio salta e l’uruguaiano resta a Milano. Rivede il campo ad aprile in Milan-Palermo 3-0. Entra a risultato acquisito al posto di Beckham al ’78. Ma i giornalisti ignorano l’evento, sbattendogli un anonimo s.v. in pagella. Proprio come la sua annata a Milano. Questa rimarrà comunque la prima e ultima presenza in campionato con la maglia dei rossoneri.

Anche perchè a luglio rescinde il contratto consensualmente con la società di via Turati. Resta per 6 mesi senza squadra, prima di accasarsi al Banfield in Argentina. L’anno successivo viene ingaggiato dai messicani dell’Atlante. Ma in Messico ci resta poco, nel 2011 passa in Grecia all’Olimpiakos Volos. Ma nemmeno nella provincia greca riesce a trovare spazio: 0 partite ufficiali disputate. Allora ritorna in Sud America, al Londrina, squadra brasiliana.

Ma il richiamo della Grecia è forte e come un eroe mitico si reca in Arcadia: viene ingaggiato dall’Asteras Tripolis, provincia pallonara di un calcio nazionale sempre più depresso come la Grecia, sempre più allo stremo delle forze. E Cardacio si adegua subito alla situazione disastrosa, disputando appena 7 partite. E così questa estate prende il volo diretto con biglietto di sola andata per il Cile e si accasa al Colo Colo. Insomma una carriera dinamica, almeno nei trasferimenti. E inversamente proporzionale al suo minutaggio stagionale.

Mariano Messinese

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Steinar Nilsen: la fragilità del norvegese e la difesa di burro

Alla notte artica c’era abituato. Anche perchè veniva da Tromso, a poca distanza dal circolo polare. Ma un conto è stare sei mesi senza luce, un altro convivere una stagione intera con il buio pesto della difesa rossonera targata 97-98. Quando nel novembre del ’97,Steinar Nilsen scelse il Milan per tentare la scalata al calcio che conta, non pensava di doversene pentire un giorno. Del resto il suo modello di riferimento era  Baresi, il capitano e la bandiera del grande Milan. Ma si sa, un conto è ispirarsi alle poesie Baudelaire, un altro è scriverle.

Eppure il norvegese godrebbe anche di un osservatorio privilegiato per imparare: la panchina. Sì, perchè per vederlo in campo bisogna aspettare il 21 dicembre. In pratica, in vista del Natale, Capello decide di regalargli un’opportunità. Il Milan ospita il Bologna a San Siro. La partita finisce 0-0 e Nilsen non demerita durante il suo primo incontro con il calcio italiano. Anche se sarebbe più giusto dire scontro, perchè a 7 minuti dal termine della gara rimedia una capocciata da Marocchi che lo costringe ad abbandonare il terreno di gioco. Insomma, un punto per il Milan e un bel cerottone sulla fronte per il norvegese. Eppure, nonostante l’incidente, si guadagna la  stima di Capello che lo manda in campo nell’andata dei quarti di finale di coppa Italia. Il Milan si concede una grande serata, l’Inter una pausa imbarazzante. I rossoneri vincono 5-0 e segna anche Nilsen con una punizione da oltre venticinque metri che buca la barriera e Pagliuca. E a fine gara riceve anche gli attestati di stima di Capello:”Sin da quando e’ arrivato, l’ho ritenuto un giocatore interessante. Non appena l’ho visto pronto per giocare, gli ho dato la chance e non ha deluso. E’ importante anche lui in questo gruppo” 

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Insomma, una serata perfetta. E invece no, perchè una botta subita da Ronaldo trasforma il sorriso in una smorfia di dolore. La diagnosi è impietosa: infortunio al menisco e conseguente operazione. Nilsen è  così costretto a fermarsi ai box per almeno due mesi. Ritorna in campo il 28 marzo. Ed è come debuttare un’altra volta. Ma questa volta c’è poco da esultare. Anche perchè il Milan ha già mandato in malora la sua stagione. E quando il biondino rileva Daino a inizio ripresa, i suoi compagni sono già sotto 2-1 e in inferiorità numerica contro la Juve.

Nel secondo tempo la Juventus trova il tempo anche di mettere a segno altri due gol che chiudono il match. Ma Nilsen ha ben poche colpe. Si parla di prestazione incoraggiante. Ma è solo un fuoco di paglia perchè la settimana successiva il Milan affonda a Bari e il norvegese delude. Così, come nella finale d’andata contro la Lazio. Il Milan vince, ma Nilsen non convince, anzi viene punito con un 5 in pagella. Voto che viene riconfermato contro il Napoli e motivato dall’accusa di “non fluidificare”. Non che in fase di copertura le cose vadano meglio. Soprattutto perchè i vari Smoje, Beloufa e Cardone, suoi degni compari di reparto, non gli danno una mano. Insomma, peggio che andar di notte. Capello comunque non ne può più e lo spedisce in panchina. Forse è stato un bene, perchè gli risparmia le ultime imbarazzanti uscite in campionato dei rossoneri

A fine stagione il tecnico di Pieris fa le valigie e saluta tutti. Al suo posto arriva Zaccheroni. L’allenatore romagnolo prende la penna e inizia a scrivere la lunga lista degli epurati. In un primo momento Nilsen si salva. Poi Zac ci ripensa e dà il via libera alla sua cessione. E così il difensore venuto dal Circolo polare finisce al Napoli, nella terra d’ O Sole mio. Sembra una burla e invece è vero. Nilsen accetta con la promessa di tornare a fine stagione a Milan. Ma non sarà così. Nilsen resterà all’ombra del Vesuvio altre due stagioni e mezzo. Conquisterà anche una promozione, ma non riuscirà più a giocare una gara in Serie A per colpa dei soliti malanni. Nel 2001 torna in patria al Tromso, tre anni dopo  appende le scarpette al chiodo e diventa allenatore. Ma questa è davvero un’altra storia. Decisamente migliore rispetto alla sua avventura italiana da calciatore.

 

Mariano Messinese 

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Zizi Roberts: la carriera da gambero del raccomandato

Il nepotismo non ha mai fatto bene al mondo. Figuriamoci al Milan. Weah, sovrano assoluto di Milanello bussa alla porta di Braida nell’estate del ’97 per segnalare un suo connazionale. Si chiama Kolubah Roberts, detto Zizi. “E’ buono, è buono – ripete il liberiano, quello forte- in Liberia segna molto”. In pratica, l’ha detto Weah, quindi è vero. E infatti qualche tempo dopo Zizi arriva al Milan. Ha appena 18 anni e la benedizione -raccomandazione di re George. Mica poco.

Lo stesso Capello, al ritorno sulla panchina rossonera, aggrega Roberts alla prima squadra per la tournèe in Brasile. In effetti il giovane liberiano in mezzo a quei grandi campioni- veri o presunti- si mostra timido. Non parla con nessuno, cerca sempre lo sguardo e il consenso di Weah, proprio come il popolano che ,invitato in un club della nobiltà londinese,non apre bocca per paura di fare una brutta figura. In campo, invece non farà brutte figure. Anche perchè giocherà appena 23 minuti, prima di essere spedito in Brianza al Monza. Senza ricevuta di ritorno. Ovviamente. Del resto in quegli anni il Monza più che un club satellite è una vera e propria pattumiera del Milan, dal momento che raccoglie tutti gli scarti e gli errori della dirigenza rossonera.

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E così l’avventura di Roberts alla corte di Capello finisce prima ancora di iniziare. E’ un fulmine a ciel sereno, ma non ci rimane male. Anzi, riconosce che al Milan avrebbe avuto poco spazio e aggiunge “Poi qui siamo a pochi chilometri da Milano e l’amico George mi ha garantito che, non appena la serie A effettuerà una sosta, farà di tutto per venire a vedermi e a incitarmi”.

In realtà la vita in provincia non è bella, a tratti può essere talmente annoiante da risultare soporifera per Zizi. Il Monza gioca contro il Venezia di Novellino, ma dopo pranzo Roberts si abbiocca. E così mentre la sua squadra si avvia allo stadio, lui dorme beato. Finchè non si sveglia di soprassalto e raggiunge in auto i suoi compagni che stanno già giocando. Ma come in certe commedie sportive americane, il liberiano entra e segna nel finale il gol decisivo di testa. E a festeggiare in tribuna c’è anche Weah, che ha raggiunto Monza per vedere all’opera il suo amico-protetto.

Zizi è al settimo cielo, ha segnato il gol che ha regalato la prima vittoria alla sua squadra. Se non è stato il giorno più bello della sua vita calcistica poco ci manca e ci tiene a sottolinearlo:  “Dedico questo gol ai tifosi del Monza che mi hanno accolto con grande calore fin dal primo giorno”. Ma con l’arrivo dell’inverno le temperature si abbassano e l’entusiasmo dei monzesi si raffredda. Alla fine Zizi chiude la stagione segnando 5 gol, tutti realizzati partendo dalla panchina. Invece quando parte titolare le cose cambiano. Il suo allenatore Bolchi lo schiera a sprazzi “perchè in partita si perde, commette ingenuità”. In pratica Zizi, che significa forte come il legno, in campo diventa un pezzo di legno. L’anno successivo il Milan lo gira al Ravenna.

E qui c’è l’intuizione di Sergio Santarini, tecnico dei romagnoli, che arretra Roberts in difesa, schierandolo come terzino. Più che intuizione è preveggenza, perchè la carriera di Roberts sarà a passo di gambero come la sua collocazione tattica. In pratica passerà dai campionati più importanti a quelli più infimi, compreso quello nordirlandese. Ma forse la colpa è di Weah, almeno stando alle dichiarazioni del diretto interessato:” George ha sempre avuto fiducia in me, mentre mio padre voleva che studiassi”. Se avesse dato retta ai consigli paterni, adesso il Milan avrebbe una meteora in meno e la Liberia un laureato in più.

Mariano Messinese

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Leandro Grimi: il fantasma di Maldini

Forse Dio gli ha voltato le spalle. O era troppo impegnato per occuparsi dei sogni di gloria di Leandro Grimi. il terzino sinistro che il Milan prelevò dal Racing Avellaneda per 2 milioni di euro nel gennaio 2007. Le sue prime parole da rossonero furono queste: “Maldini è il mio modello, magari un giorno potrei essere come lui. Sono un difensore laterale che va in attacco e se Dio vorrà potrei diventare il nuovo Maldini”. Ecco, magari l’Onnipotente è stato solo più lungimirante dei plenipotenziari milanisti. Perchè Grimi nel Milan -e altrove- non diventò mai come Maldini. Infatti non strappò mai applausi ai tifosi rossonerì come il capitano dei capitani. Tutt’al più qualche sorriso. Ovviamente ironico.

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Il debutto in prima squadra avviene qualche giorno dopo il suo arrivo. A San Siro si gioca l’andata dei quarti di coppa italia e il Milan ospita l’Arezzo che milita in serie B. Finisce 2-0 per il Milan e al 14 del s.t. Grimi entra al posto di Cafu. Passaggio di consegne? Neanche per sogno. Anche perchè Grimi non incanta la platea. La “rosea” gli assegna una sufficienza di incoraggiamento, motivandolo così: “Mezzora sulla fascia. Lavori in corso e si vedono”. In realtà questi lavori in corso sono più lunghi di quelli della Salerno-Reggio Calabria e per vederlo all’opera in campionato – ma i tifosi rossoneri avrebbero anche fatto a meno- bisogna attendere 3 mesi. Entra negli ultimi dieci minuti di Ascoli- Milan 2-5 , quando il risultato è già congelato. In pratica quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare, mentre l’argentino resta in panchina.

Le ultime due apparizioni di Grimi con la maglia del Milan coincidono con le ultime due giornate del campionato e con altrettante sconfitte per i rossoneri contro Udinese e Reggina. Sia chiaro, Grimi c’entra poco. E’ vero che il terzino argentino offre prestazioni mediocri, ma la colpa è soprattutto del Milan che ha la testa alla finale di Champions contro il Liverpool.

Al termine della stagione Grimi collezionerà appena 3 presenze. Doveva essere l’erede di Maldini, ma è diventato il suo fantasma. E’ naturale che in estate saluti tutti e si accasi altrove. Finisce al Siena, ma neanche lì convince e si trasferisce in Portogallo allo Sporting Lisbona con una breve e infelice parentesi nel Genk in Belgio.

Nel 2012 torna in patria al Godoy Cruz, la squadra di Mendoza. E qualche giorno fa, proprio con la maglia del Godoy Cruz, ha segnato un gol straordinario contro l’Estudiantes. E’ partito dalla sua area di rigore, ha messo la quinta, è arrivato a ridosso dell’area avversaria e ha lanciato un missile terra-aria che si è infilato sotto l’incrocio dei pali. Il tutto in 12”, proprio come una Ferrari. Non male per chi al Milan viaggiava a km zero. Come una utilitaria.

Mariano Messinese

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