Articoli con tag: spotlight

Mark Fish: lo psicologo assonnato

Mi ispiro a Baresi. Somiglio a Desailly


La moda delle Vuvuzela è stata un tormento. Soprattutto per le nostre povere orecchie al mondiale sudafricano del 2010. Eppure non è stata l’unica cosa che l’Italia ha importato dal paese più a Sud del continente Nero. Qualche anno prima, nell’estate del 96, alcuni dirigenti delle società italiane puntarono i riflettori sui Bafana Bafana ( i nostri ragazzi), cioè sulla nazionale di calcio del Sudafrica, fresca vincitrice della Coppa continentale. Sia chiaro, non  fu un successo epico come quello degli Spingbok al mondiale di Rugby nel ’95. Tanto che sull’impresa calcistica non è mai stato prodotto un film come Invictus. Eppure i nostri talent-scout intravidero del talento fra i ragazzi che formavano quella squadra, nata sulle ceneri dell’apartheid e della lunga esclusione dalle competizioni, imposta dalla Fifa negli anni 60. Tre giocatori su tutti colpirono gli osservatori: Phil Masinga, Marc Fish e Eric Tinkler. Il primo finì in B alla Salernitana, gli altri due alla Lazio e al Cagliari.

Mark Fish era il capitano della nazionale. Ed era un difensore centrale promettente. Ma si ritrovò a giocare nella Lazio di Zeman, non proprio l’ideale per chi ricopriva quel ruolo. Senza dimenticare i problemi di ambientamento per un ragazzone sudafricano di 22 anni. Addirittura una volta non si presentò all’allenamento. Stava dormendo beato a casa.  Ma il jet-lag non c’entrava niente. Semplicemente Fish si era dimenticato di regolare la sveglia. Se la cavò con una multa. Dopo tutto era un sonnellino innocente. Il problema è che si addormentava anche in campo e nell’uno contro uno veniva sistematicamente bruciato dagli attaccanti avversari. Troppo alto(1,92) e troppo lento per il nostro calcio. Questa era la sentenza dopo due mesi in Italia.

285x192_fishc795940

Mark Fish: in una rara fotografia con gli occhi aperti

A novembre poteva andare anche già via, ma strinse i denti e scelse di continuare la sua avventura in biancoceleste. I sacrifici furono ripagati con un gol in un deludente 1-1 contro il Verona. Si illuse allora di aver finalmente compreso Zeman e il suo calcio tutto impeto, assalto e difesa alta come l’Everest. Già, così credeva, magari anche perchè confidava sui suoi studi in psicologia. Ma la psicologia è interpretazione, non previsione. Infatti il gigante sudafricano non poteva sapere che il Boemo sarebbe stato cacciato di lì a poco per fare posto a Zoff. E con il “Friulano Vertical” le cose volgeranno al peggio. Dopo una sconfitta con due gol al passivo, fu accantonato e relegato in panchina.

Il capitano dei Bafana Bafana concluse la sua stagione con 15 presenze e 1 gol. Non bastarono per la riconferma. E non erano certo cifre interessanti per chi diceva di ispirarsi a Baresi e somigliare a Desailly. Qualche mese dopo finì al Bologna. Ma ci restò poco. In pratica appena 15 giorni. Giusto il tempo per conoscere il suo allenatore Renzo Ulivieri che lo bocciò con queste parole.“Non è rapido nei movimenti e quando viene attaccato può trovarsi in difficoltà”. Colpito e affondato. E rispedito al mittente.

La Lazio trovò il modo di piazzarlo in Inghilterra: 3 anni al Bolton, 5 al Charlton, 1 al Ipswich Town, Poi il ritorno in patria dove intraprese anche la carriera da allenatore. Ma nessuno è profeta in patria. E  dopo 4 mesi alla guida dei Thada Royal Zulu fu esonerato. Magari il presidente voleva dare una svegliata alla squadra. E forse Mark si era dimenticato di regolare la sveglia.

Mariano Messinese

Twitter:@MarianoWeltgeis

Pubblicità
Categorie: Incompreso | Tag: , , , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

Axel Konan: tormento di Buffon e dei sorrentini

Si era parlato tanto di lui quando indossava la maglia del Lecce e, a soli 21 anni, ebbe la sfrontatezza di freddare due volte Buffon quando i salentini espugnarono il Delle Alpi di Torino. Era considerato un astro nascente, una stella, uno di quei giocatori per cui i grandi club sarebbero stati disposti a svenarsi per assicurarsene i servigi. Invece, proprio quando ci si aspettava la sua consacrazione, si è impantanato senza riuscire a spiccare il volo.

Dal Lecce passò in prestito al Torino senza fortuna, mentre con i giallorossi si tolse la soddisfazione di segnare nuovamente in casa della Juventus, ma stavolta all’Olimpico, nuova dimora dei bianconeri. Poi si è come eclissato, sulla sua parabola discendente hanno inciso anche alcuni problemi fisici, il suo momento di gloria era svanito così, per rilanciarsi, decide di approdare al Bellinzona in Svizzera. I suoi due gol, non consentono alla sua nuova squadra di evitare la retrocessione ma, per lui, dopo alcuni mesi di inattività, si riaprono le porte dell’Italia.

Erano lontani i tempi in cui impressionava sui campi delle massima serie con chi ne preconizzava un’ascesa ai massimi livelli, ritornava con la fortuna di stare in uno dei posti più belli del Belpaese, ma in una categoria non proprio esaltante: la Prima Divisione, la vecchia C1. Era il mese di febbraio, l’offerta arrivava da Sorrento, una squadra invischiata in brutte acque di classifica e che aveva un impellente bisogno di un attaccante che la buttasse dentro. Chi meglio di uno che aveva strappato applausi in serie A?

Il suo acquisto, non è che sia stato accolto dagli osanna dei sorrentini, ma sicuramente con una buona dose di ottimismo, anche se qualcuno già vedeva i titoli di coda scorrere sulla sua carriera. Si pensava, comunque, che avrebbe potuto risolvere gran parte dei problemi di un attacco evanescente e spuntato, bisognava salvare i rossoneri dal baratro della retrocessione. Un “Barbaro” nella terra delle Sirene, come sarà andata l’esperienza, sarà riuscito a realizzare i gol necessari per brindare alla permanenza in categoria? Il doppio spareggio perso con il Prato condannò i costieri allenati da Papagni ad una mesta retrocessione, con Konan che vide pochissimo il campo senza mai andare a segno.

Le uniche volte che mise piede sul rettangolo di gioco, i difensori erano indecisi se marcarlo o meno stante la sua goffaggine. A retrocedere direttamente, in quel girone, fu la Carrarese, squadra per cui batte il cuore di Gigi Buffon che, pur vantando un palmarès invidiabile, è probabile che si sia svegliato più volte durante la notte pensando a quando fu giustiziato da Konan. Qualcuno aveva immaginato un ipotetico spareggio salvezza proprio con la Carrarese, accettando che a difendere i pali dei marmiferi, fosse proprio il portiere campione del Mondo, e se fosse bastato per far deflagrare il killer instinct del colored ivoriano? Pare che, durante gli allenamenti settimanali del Sorrento, ci fosse una fila interminabile di persone per assistere alle prodezze di Konan, senza che nessuno si rendesse conto di un aspetto: i portieri avevano tutti lo stesso volto, in realtà indossavano la maschera di Buffon.

axel konan

 

Busto marmoreo di Konan il barbaro

Poi, la domenica, scendeva in campo un giocatore spento e macchinoso. In quel periodo, a Sorrento ci fu una scomparsa che fece scalpore: quella di Gigi il “Buffone”, il portiere di un palazzo, che lasciò il seguente messaggio: “Dite a Konan che i guanti che indossavo l’altro giorno erano quelli del giardiniere che mi aveva chiesto un aiuto, gridavo “Mia” perché così si chiama il gatto, la rete la uso per andare a fare le cozze, possibile che si presenti ogni domenica arrivando a scambiare l’area di parcheggio per quella di rigore?”.

Maurizio Longhi

Categorie: Bidoni esotici | Tag: , , , , , | Lascia un commento

Ali Samereh: casa, moschea e digiuno di gol.

Ci sono un coreano, un argentino e un iraniano. No, non è l’inizio di una barzelletta. Ma sono solo le nazionalità di alcuni giocatori presenti nella rosa del Perugia all’inizio del campionato 2001-2002. Infatti la società umbra a cavallo del terzo millennio sembra una multinazionale con a capo un padre padrone come Luciano Gaucci. Vulcanico, dispotico a tratti geniale: Lucianone una ne pensa e 100 ne fa. Anzi 100 ne acquista, soprattutto dai campionati più strani e assurdi, come quello cinese o iraniano. E così nell’ estate del 2001 arriva dall’affascinante e misteriosa Persia un oggetto altrettanto misterioso: si tratta di Ali Samereh, attaccante dell’Esteghal e della nazionale del suo paese. Per agevolare la trattativa si muove in prima persona un misterioso intermediario: un imprenditore di tessuti persiani, nato in Iran ma trapiantato in Umbria da tanti anni. Opportunista, forte fisicamente e nel gioco acrobatico. Così lo descrivono le cronache di quegli anni. Ma Samereh non è uno che si monta la testa. Dopo tutto è un ragazzo di 24 anni che vive lontano dalla sua Terra. E’ umile e soprattutto molto religioso, Si sveglia alle 6 per la preghiera mattutina, non beve alcol, né mangia carne di maiale e ovviamente rispetta il Ramadan. 

ali samereh
Ali Samereh in carne,ossa e monociglia

Ma la sua avventura calcistica in Italia sarà un continuo Ramadan: in pratica resterà a digiuno di gol. Per la verità, Ali Samereh disputò anche un buon precampionato. Ma il calcio estivo è ingannevole  Il sole picchia forte e  può causare allucinazioni. Pertanto può anche capitare di scambiare un bidone per un nuovo talento da mandare in campo alla prima giornata. E infatti Cosmi fa così. Schiera l’iraniano all’esordio stagionale contro l’Inter, ma  è un disastro. L’Inter rifila un poker al Perugia: finisce 4-1 per i nerazzurri. Samereh resta in campo un’ora abbondante, con risultati imbarazzanti. E’ inconsistente, spaesato, addirittura sembra esile rispetto al giocatore ammirato in estate. Un esordio anonimo – commenta Cerruti della Gazzetta. Parole profetiche, perché da allora l’attaccante sprofonda nell’anonimato. Giocherà solo altri 5 spezzoni di partita in serie A. Prima di essere rispedito in patria. Ma per un iraniano che parte, un altro ne arriva. Si tratta di Rahman Rezaei che farà una figura migliore. Anche perché fare peggio del suo predecessore era impossibile. Mariano Messinese Twitter:@MarianoWeltgeis

Categorie: Bidoni esotici | Tag: , , , , , , | Lascia un commento

Mike Tullberg: la meteora precipitata nello Stretto

La forza fisica inversamente proporzionale alla freddezza sotto porta. Sì può riassumere così l’esperienza italiana di Mike Tullberg. Il centravanti danese sbarcò in riva allo Stretto, sponda reggina, negli ultimi giorni di mercato dell’agosto 2007. Tre giorni dopo la presentazione al Granillo, venne subito schierato dal 1′ dal tecnico Ficcadenti per la gara contro il Torino.

Ma facciamo  prima un passo indietro: la Reggina si presenta al taglio del nastro della stagione con un grosso punto interrogativo: non c’è più Rolando Bianchi, autore dei 18 gol che hanno salvato la squadra di Mazzarri nel 2006-2007.  In pratica, Ficcadenti dovrà fare a meno dell’eroe della salvezza nel campionato della penalizzazione. Non è un problema da poco. Anzi è un rompicapo. Ma Foti ha l’intuizione per risolvere il cubo di Rubik: fare spese in Danimarca. E così arrivano il difensore Kris Stadsgaard, altra meteora e l’attaccante Tullberg. Avessi  detto i fratelli Laudrup.

tullberg

Mike Tullberg in suo primo piano spietato

MIke Tullberg è un centravanti. E’ alto 1,85 e pesa 77kg. Ma ha un grosso difetto: segna poco. In pratica, un peccato capitale per chi gioca in quel ruolo. Del resto i numeri parlano chiaro: 56 presenze e appena 12 reti nel campionato danese. Tradotto:  ha lo stesso score  di Thomas Helveg. Solo che quest’ultimo è un terzino.

Al debutto Tullberg non sfigura. Almeno per una buona ora di gioco: lotta e sgomita contro la difesa avversaria. Fino a quando Amoruso non lo libera davanti al portiere. Il danese è solo, ha tutto il tempo per controllare e tirare in porta. Invece spara alle stelle. Ficcadenti lo toglie dal campo qualche minuto dopo. Il giorno seguente, la “Rosea” parla di un Tullberg spumeggiante come la birra, ma poco concreto. Comunque sufficiente. Quindi sarà Confermato per la prossima gara? No. Rimandato? Nemmeno. Bocciato, senza appelli. Eh sì, il calcio è spietato, ma Ficcadenti lo è ancora di più. Tullberg invece non lo è per niente. Soprattutto davanti al portiere.

Da allora Tullberg vede il campo solo in altre 4 occasioni. Addirittura l’arrivo di Ulivieri complica le cose, invece di migliorarle, perchè il danesone viene degradato in Primavera. A fine stagione lascia la Calabria e si trasferisce in Scozia in prestito. Rescinde con la Reggina nell’agosto del 2009. Ad appena 27 anni, dopo un brutto infortunio, appende gli scarpini al chiodo. Eh già, il calcio è proprio spietato, Vero, Mike?

Mariano Messinese

Twitter:@MarianoWeltgeis

Categorie: Bidoni esotici | Tag: , , , , , , | Lascia un commento

Kenneth Zeigbo: da osservato speciale a vigilante

Un secolo e mezzo dopo Livingstone l’Europa guarda ancora al “continente nero”. Alle soglie del 2000 nuovi esploratori setacciano palmo a palmo l’entroterra africano. Ma questa volta non ci sono avventurieri o missionari, armati di fucili e vangelo. No, i tempi sono cambiati. L’Africa è percorsa in lungo e largo da osservatori e talent scout, equipaggiati di taccuino e tanta buona volontà. E con un solo obiettivo in testa : scovare il nuovo talento del calcio africano. E’ proprio questo a spingere i dirigenti del Legia Varsavia a prendere, nell’estate del 97, un aereo con destinazione Nigeria. L’osservato speciale è Kenneth Zeigbo. L’affare si fa e l’attaccante si trasferisce in Polonia. Un anno dopo ha già le valigie in mano. Sbarca in Laguna, ad attenderlo c’è  Zamparini che ha versato 4 miliardi di lire nelle casse del club polacco per rinforzare il Venezia, neo promosso nella massima Serie. Il nigeriano ha finalmente l’occasione giusta per confrontarsi con il grande calcio. Il giorno della presentazione non nasconde la sua gioia e annuncia:” Ho l’occasione per dimostrare nel campionato più difficile del mondo le mie qualità. Conosco i difensori italiani, li ho sperimentati affrontando il Vicenza. Ho visto in videocassetta il Venezia e mi ha conquistato: aggressivo, come piace a me”. Ma evidentemente non conquista Novellino, perchè il tecnico, in contrasto con l’ esterofilia tanto di moda nel nostro paese in quel periodo, risponde puntando sull’italianissimo tandem  Schwoch-Maniero, in sintesi sull’usato sicuro. Insomma l’avventura di Zeigbo parte col piede sbagliato. Anzi col ginocchio sbagliato: Infortunio e stop di un paio di mesi. zeigbo

Kenneth Zeigbo in una rara apparizione al Venezia

Intanto il Venezia boccheggia in fondo alla classifica. Ma a novembre Zeigbo riemerge dalla nebbia lagunare e riesce anche a debuttare in campionato nei 2′ finali di Venezia- Cagliari. Sette giorni dopo, Novellino lo getta nella mischia a un quarto d’ora dalla fine per scardinare il muro eretto dal Piacenza. Ma il gol non arriva e il nigeriano si becca un 5 in pagella che viene motivato così:” Ha peso fisico ma non trova soluzioni”. Insomma non basta avere un fisico bestiale, se i piedi non sono eccelsi e la fortuna non è dalla tua parte. Quindi, nuovo infortunio e nuovo stop, proprio mentre arriva Recoba che da solo o quasi conquista una salvezza insperata fino a qualche mese prima. Nella stagione successiva non c’è più spazio per Zeigbo. A gennaio espatria in Libia dove ritrova gol e condizione. Ma l’amore per l’Italia è smisurato e  il richiamo del Bel paese è troppo forte per resistere alla tentazione. Anche a costo di ripartire dalla C1 a L’Aquila. Nel 2013, dopo una lunga peregrinazione nelle serie minori, dove è stato  vittima di  ripetuti insulti razzisti da tifosi e avversari, Zeigbo appende le scarpe al chiodo e viene assunto in una società di sorveglianza. Anche fuori dal campo, però, sul treno diretto a Padova, subisce un’ aggressione verbale di stampo razziale da parte di un controllore per non aver fatto in tempo a obliterare il biglietto. Ma nonostante questo l’ex attaccante del Venezia non ha dubbi: ” Mi sento italiano ed amo questo Paese anche se c’è del razzismo”. Hai proprio ragione, Kenneth, l’Italia è stupenda. Nonostante questi idioti. Mariano Messinese Twitter:@MarianoWeltgeis

Categorie: Bidoni esotici | Tag: , , , , , , , , | Lascia un commento

Mario Jardel: da Supermario a Lardel

A metà degli anni ’90 sarebbe stata una rosa eccellente. Il guaio è che fu costruita nel 2003-2004, quando l’età media di quegli stessi giocatori  si avvicinava più agli “anta” che ai trenta. Insomma l’Ancona di Pieroni, nell’anno del suo secondo storico campionato nella massima serie, poteva fregiarsi di calciatori come: Hubner, Poggi, Luiso, Maini, D. Andersson, Di Francesco, Rapajc e Dinone Baggio. Oltre a  Mads Jorgensen e Luis Helguera,fratelli d’arte, ma comunque figli di un Dio minore della pedata. In teoria, dieci anni prima con questa squadra i tifosi marchigiani potevano sognare. In pratica un decennio dopo lo squadrone sembrava una polisportiva dopolavoro ferroviario. Morale della favola? Al giro di boa l’Ancona era ultimissimo con zero vittorie all’attivo.

201202262322342Jardel

Mario Jardel in forma smagliante (e con smagliature) nel giorno del suo debutto

A gennaio Pieroni ha l’intuizione: potenziare l’attacco con Jardel. C’è solo un piccolo grande intoppo; Jardel è ormai lontano parente del Supermario ammirato al Porto e al Galatasaray. E’ talmente obeso da sembrare in dolce attesa e per questo motivo sarà presto ribattezzato “Lardel” dai suoi nuovi tifosi. Nonostante lo scetticismo, debutta la settimana successiva alla sua presentazione contro il MIlan. L’Ancona ne prende 5 e Jardel gioca (si fa per dire) 85′. I movimenti sono buoni, ma la velocità è ferma sul livello moviola. Dopo la disfatta Sonetti salta. Al suo posto arriva Galeone che ha già le idee chiare: “All’Ancora servono 7 vittorie consecutive” . A SuperMario invece basterebbe perdere 7 kg. Magari in sette giorni, come in un famoso film di Verdone e Pozzetto. Ma i tempi stringono e la dieta non funziona.

Galeone lo spedisce quindi in tribuna per le due partite successive, Ma lo rispolvera per la gara interna contro la Roma. Al Conero succede l’impensabile: i padroni di casa fermano i giallorossi, secondi in classifica, nonostante gli 82′ in campo  del fischiatissimo Jardel. Galeone gli concede comunque  un’altra chance contro l’Udinese. Ma se ne pente subito. Dopo trentasei imbarazzantissimi minuti manda il brasiliano sotto la doccia. Supermario esce dal campo senza passare dalla panchina. Nei giorni successivi la situazione precipita: la moglie lo lascia e lui si barrica in casa disertando gli allenamenti. A marzo scappa via  tra l’indifferenza della piazza e il sollievo di Galeone. A maggio firma per il Palmerais. Ma non può giocare, perchè  scopre che non ha ancora rescisso il contratto con la società marchigiana. Si dichiara prigioniero dell’Ancona, manco fosse un brigatista. In realtà Jardel non era prigioniero, ma soltanto schiavo del suo passato. E ovviamente della forchetta.

Mariano Messinese

Twitter: @MarianoWeltgeis

Categorie: Bidoni esotici | Tag: , , , , , , , , , , | Lascia un commento

Sotiris Ninis: il Messi greco che piaceva al Milan

Tutti pazzi per Sotiris. Sì, detta così sembrerebbe la parodia del ben più celebre film : tutti pazzi per Mary. In realtà c’è stato un momento storico in cui Sotiris Ninis è stato appetito dai più grandi club europei: Roma, Milan, Inter e Real Madrid. In pole position però c’era il Manchester. Ma Sir Alex Ferguson ingranò la marcia sbagliata alla partenza e il centrocampista greco finì a Parma. Come a Parma? Sì, le vie del calciomercato sono infinite e spesso transitano per l’Emilia.

C’è un piccolo retroscena che spiega tutto. Anche l’imponderabile. In pratica Ninis nel settembre del 2011 si rompe il legamento del crociato destro. Diagnosi impietosa: 6 mesi di stop. Senza dimenticare un altro aspetto fondamentale: a giugno 2012 il suo contratto con il Panathinaikos va in scadenza. Quindi a marzo Ghirardi annuncia l’ingaggio di Ninis. Concorrenza ( o quel che restava) bruciata. Ma il presidente gialloblu resterà comunque scottato dalla storia

.download (11)
Ninis e il calcio italiano: è questione di testa

In pratica il Messi ellenico (chissà poi chi assegna questi soprannomi) non riuscì mai ad ambientarsi nel calcio italiano. Scese in campo appena 13 volte. Per lo più da subentrato e senza lasciar nemmeno intravedere le sue (poche) qualità. A giugno 2013 Sotiris Ninis fece i bagagli e si accasò al Paok Salonicco con la formula del prestito secco. Dopo una stagione in Grecia è ritornato a Parma. Ma solo per pochi giorni: meno di un mese fa ha rescisso il contratto. Con buona pace di tutti. Sopratutto dei tifosi crociati.

Mariano Messinese

Twitter: @MarianoWeltgeis

Categorie: Incompreso | Tag: , , , , , , , , | Lascia un commento

Ezequiel” Equi” Gonzalez:”lo scolaretto e il maestro”

Aveva una città ai suoi piedi. E l’abbandonò per venire a Firenze. In momento storico difficile con la società sull’orlo del fallimento. Ma questo Ezequiel “Equi” Gonzalez non poteva saperlo. Era stato già acquistato l’anno prima, quando la crisi sembrava ancora lontana. E invece in poco tempo gli eventi precipitarono e travolsero anche Equi, il figlio prediletto di Rosario, città argentina a300 chilometri da Buenos Aires.

Ezequiel Gonzalez si aggregò alla squadra, mentre l’idolo di Firenze, Rui Costa, faceva i bagagli e si trasferiva al Milan. E così i tifosi gigliati si aggrapparono a questo trequartista argentino giovane e imberbe, nella speranza che emulasse le gesta del portoghese. Ma se Rui Costa era il maestro, Equi al massimo poteva essere uno scolaretto con un pizzico di talento nello zaino. L’eredità è pesante, ma l’alunno non si tira indietro, anzi annuncia: “Se serve gioco anche con una gamba”. Il problema è convincere l’allenatore, cioè Roberto Mancini che non lo schiera mai anche quando ha due gambe funzionanti. Tranne in caso di emergenza. E per questo motivo, Gonzalez gioca solo una volta: in coppa Uefa nella morsa del gelo di Dniptrovsk. Poi più nulla.

L’argentino viene quindi emarginato. Sempre in panchina o in tribuna. Si rintana fra le confortevoli mura delle sua villa in via Bologna, dove passa il tempo a guardare la tv. A gennaio rischia di partire. Il Celta Vigo lo corteggia, ma all’improvviso arriva la svolta. Mancini si dimette dopo la sconfitta interna con il Perugia e al suo posto arriva Bianchi. Equi viene immediatamente depennato dalla lista dei partenti. Contro il Milan non parte titolare, ma la Fiorentina va sotto e Bianchi decide di gettarlo nella mischia. I Viola pareggiano con un gol di Adriano in chiusura di match. Anche grazie al contributo di Gonzalez che porta una ventata di freschezza alla manovra viola. Nelle successive partite,l’argentino gioca da subentrante. Diventa l’asso nella manica, corta, di Bianchi per sparigliare le carte. Il trequartista ce la mette tutta, mostra le sue qualità, salta spesso l’uomo, vede la porta, ma segna poco. E soprattutto predica nel deserto: perchè il resto della squadra sembra aver già ammainato la bandiera. Nonostante il suo impegno, la Fiorentina scivola quindi sempre più giù sul fondo della classifica. Tuttavia l’argentino si toglie lo soddisfazione di segnare un gol al suo debutto da titolare. Ma è solo una rete che illude. La Fiorentina viene raggiunta dal Bologna e vede sempre più lontana la salvezza. Anche perchè nelle ultime 7 giornate arrivano altrettante sconfitte. Insomma, ad aprile la Fiorentina è già in B. Ma il peggio deve ancora venire. La società fallisce e riparte dalla c2, Equi dall’Argentina

Gioca prima nel Boca Juniors, poi torna al Rosario che lo aveva fatto diventare grande, prima di intraprendere l’avventura in Grecia. Al Panathinaikos Equi diventa l’idolo della tifoseria locale. Le sue giocate entusiasmano una platea poco avvezza ad ammirare tanta tecnica. Su youtube potete ancora imbattervi su alcuni video dei tifosi dei “Verdi di Grecia” dedicati all’estroso fantasista di Rosario Ad Atene fu amato. A Firenze non fu capito. Anche se resta sempre quel dubbio: se solo fosse arrivato in un altro momento…

Mariano Messinese
Twitter:@MarianoWeltgeis

Categorie: Incompreso | Tag: , , , , , , | Lascia un commento

Blog su WordPress.com.

Cialtronerie d'autore

IL MONDO, VISTO CON GLI OCCHI DI UN CIALTRONE.

Romanzo Sudamericano

Piccole grandi storie di futbol.

pellegrino e il lupo

Il blog di un tifoso dell'Avellino

l 'arte secondo Medea

This WordPress.com site is the cat’s pajamas